ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI

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Progetto per una didattica dei contenuti

ALBERT EINSTEIN

A proposito del servizio militare (1934)

Sostengo fermamente il principio che una soluzione reale del problema della pace può essere raggiunta solo attraverso l’istituzione di un’assise internazionale la quale, diversamente dall’odierna Società delle Nazioni di Ginevra, abbia a sua disposizione i mezzi per far rispettare le proprie decisioni. In breve, una corte di giustizia dotata di una forza militare permanente, o meglio, di una forza politica.
A chi abbia a cuore questo problema cruciale consiglierei vivamente la lettura di un saggio di Lord Davies, in cui la mia idea è esposta al meglio.
In coerenza con questa mia convinzione, non esiterò a schierarmi a favore di qualunque iniziativa che mi sembri idonea ad avvicinare l’umanità a questo obiettivo. Se però fino a pochi anni fa il gesto di quei coraggiosi che si rifiutavano, ben coscienti di andare incontro a un sacrificio, di imbracciare il fucile poteva essere additato ad esempio, non mi sembra, oggi, che questa sia una via praticabile. Al tempo in cui tutte le nazioni, più o meno, erano governate nel rispetto delle regole democratiche e nessuna aveva mire espansionistiche sostenute dalla potenza militare, l’obiezione di coscienza da parte di un consistente numero di cittadini avrebbe ben potuto suggerire ai governanti di optare per l’istituzione di un’assise sovranazionale. Quel tipo di disubbidienza civile, fra l’altro, ha contribuito non poco al formarsi di una cultura pacifista, al punto che l’obbligatorietà del servizio militare veniva vista come un arbitrio, oltreché come moralmente riprovevole. In quelle circostanze quel rifiuto era motivato dall’interesse supremo
Oggi purtroppo ai cittadini di grandi potenze non è consentito di effettuare scelte politiche libere e consapevoli, e la pubblica opinione viene continuamente manipolata con una sistematica disinformazione. E queste potenze, con la loro macchina militare cui si dedica in pratica l’intera popolazione, sono diventate una minaccia per il resto del mondo. La stampa vi è imbavagliata, la radio ridotta a portavoce del regime, il sistema scolastico, e con esso la funzione educativa, finalizzato a una politica estera aggressiva. In quei Paesi l’obiezione di coscienza ha il valore di una testimonianza che si paga col martirio, con la condanna a morte, mentre da noi, dove il cittadino può ancora fruire delle libertà politiche, quel rifiuto mina obiettivamente la tenuta della parte sana della comunità delle nazioni.
Coi tempi che corrono, sarebbe davvero un comportamento irresponsabile quello di chi incoraggiasse un disarmo unilaterale, perlomeno nel Vecchio Continente, su cui incombono gravi pericoli. Nella presente situazione una resistenza passiva, anche la più eroica, non costituirebbe un metodo efficace, a mio avviso: altri i tempi, altri i mezzi, pur se il fine resta immutato.
Chi vuole davvero la pace, oggi, dovrà adottare una strategia diversa da quella che poteva essere valida in passato. Bisogna porsi quest’obiettivo: la formazione di un’alleanza la più larga possibile delle nazioni democratiche, che scoraggi l’avventurismo militare di regimi fondati sulla violenza e sull’illegalità. Penso soprattutto a un’azione concertata, accuratamente preparata e duratura, tra Stati Uniti e Gran Bretagna, cui potrebbero associarsi Francia e Unione Sovietica, quando sarà possibile.
Forse il pericolo incombente faciliterà un tale avvicinamento e, con esso, la soluzione pacifica del contenzioso internazionale: sarebbe, questo, il lato vantaggioso dell’attuale oscura situazione. Un’azione coerente avrebbe un influsso estremamente positivo sull’opinione pubblica internazionale.

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