ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI

home

HANS-GEORG GADAMER
Appello "per l'Europa"

Alla mia età posso essere considerato un figlio del secolo. Ho attraversato quest'epoca tumultuosa dai primi anni della mia infanzia fino ad oggi, e posso dunque considerarmi un "testimone" del secolo passato: uno che può richiamare alla memoria le cose accadute e domandarsi che cosa abbia a che fare la filosofia con la situazione odierna. La nostra è un'epoca segnata dalle conseguenze degli enormi sviluppi tecnologici avviati dalla rivoluzione industriale. Alla fine di quest'epoca, ossia nella seconda metà del nostro secolo, negli anni della ricostruzione, dopo le due guerre mondiali, la rivoluzione industriale ha di nuovo raggiunto le proporzioni di un'onda immane che tutto sommerge e trascina.
D'altra parte i grandi mutamenti politici degli ultimi anni hanno restituito alla vecchia Europa almeno una parte della sua estensione originaria, e, come gli altri grandi mutamenti, questa vicenda europea ha in realtà una portata mondiale. Hans-Georg Gadamer e Gerardo Marotta La vecchia Europa è legata strettamente all'America del Nord, che nel segno della rivoluzione industriale continua ad esercitare e anzi ad accrescere il suo ruolo guida in un'epoca nella quale i mezzi di informazione e di riproduzione tecnica riversano su di noi un continuo flusso di stimoli. Ci troviamo di fronte ad un problema che mette in questione l'intera struttura della nostra vita, il problema cioè della crescita e del predominio di un sistema anonimo all'insegna della scienza e della tecnica.
Quello che oggi chiamiamo scienza è - com'è noto - una creazione dell'età moderna che ha avuto inizio con Galileo Galilei. Fino ad allora le capacità inventive dell'uomo si erano limitate più che altro a riempire gli spazi lasciati vuoti dalla natura. Ecco ora, invece, aprirsi una nuova epoca, in cui l'ingegno umano impara a riprodurre artificialmente gli oggetti naturali e, addirittura, a costruire una nuova realtà. Il metodo scientifico diviene così la nuova forma atta a dominare la natura, che così viene ridotta a campo da dominare e non è più considerata come madre della vita. Un progresso, questo, straordinario, destinato però a produrre lentamente il predominio delle scienze nella vita umana. E infatti l'altra linea di pensiero, quella che cerca di argomentare razionalmente intorno agli eventi umani, intorno alla storia, non poteva reggere il confronto con le moderne scienze sperimentali, nonostante quei pensatori che, come Vico, proprio qui a Napoli, rivalutavano il valore teoretico e pratico della retorica a fronte di un approccio conoscitivo basato sul metodo oggettivante.
Noi viviamo oggi in una società che potremmo definire in senso lato una società delle scienze; una società dove l'opinione pubblica e la politica dell'informazione sono guidate e manipolate sulla base dei risultati delle scienze. Sta qui, a mio parere, il vero pericolo di un possibile abuso della scienza. Tutti i risultati della scienza moderna sono caratterizzati dall'oggettività metodica come sinonimo di anonimità. Nella nostra epoca, nell'epoca del predominio delle scienze naturali e matematiche, la grande "vittoria" delle scienze moderne appare sempre più come un appiattirsi nel monologo, i cui caratteri distintivi sono la chiusura individualistica e la mancanza di ogni fede. Questo è un chiaro segno, peraltro, dell'indebolirsi e del venir meno dell'educazione all'interno della famiglia, dove l'autorità dei genitori viene oggi sostituita dall'autorità dei messaggi diffusi dai mass-media.
Già il grande sociologo Max Weber aveva definito la nostra epoca come l'epoca della burocratizzazione. Viene così alla luce una nuova problematica: da una parte cresce la domanda di regole e controlli, dall'altra, e per conseguenza, la possibilità di abusi di potere. Ogni sistema regolato richiede uno sforzo di adattamento alle regole; ma a sua volta ogni regolazione deve fare i conti con il continuo mutare delle situazioni reali, coi bisogni, le esigenze, le attese degli uomini. L'adattamento alle regole e l'autonomo giudizio personale sembrano difficili da conciliare. Si può dire anzi che la civiltà europea con tutti i suoi grandi successi stia sviluppando una fisionomia sempre più unilaterale, in cui i comportamenti degli uomini sono stilizzati da regole imposte da un'autorità anonima.
Come risultato finale di questa diagnosi posso dire che il canone della scienza moderna è ormai rappresentato dal talento dell'adattamento. Contro questo appiattimento io rivolgo il mio anelito ad un futuro che sia basato sulla creatività, sulla libertà, sul rischio - se volete - dell'errore. Oggi il nostro compito diventa sempre più arduo di fronte alla necessità di affermare la convivenza tra culture e lingue diverse, tra differenti confessioni e fedi religiose. La crisi ecologica, il problema atomico non sono limitati alla sola Europa ma mettono in questione la sopravvivenza dell'intera umanità e della vita stessa.
Nel 1946 fui eletto Rettore, il primo dopo la guerra, dell'Università di Lipsia nella Germania dell'Est, ma poi rinunciai a questa posizione per un incarico d'insegnamento prima a Francoforte e poi a Heidelberg. A Lipsia fui pregato di scrivere qualche parola nell'albo che accoglieva le firme dei visitatori ufficiali. Oggi voglio riprendere le parole che scrissi allora: pazienza e lavoro, perché il compito è gigantesco e nient'altro ci può salvare. A quel tempo mi chiedevo tuttavia se un giorno sarebbe nata un'istituzione che fosse in grado di risvegliare a nuova vita la nostra tradizione culturale ormai irrigidita dalle regole di una società burocraticamente organizzata e finalizzata all'ideale del profitto economico. Era mai possibile una tale istituzione? Oggi, come membro dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici posso affermare che ciò è possibile. Questa iniziativa infatti fu proposta dall'avvocato Gerardo Marotta, pur tra le riserve da parte dell'Università, allora incredula sulle possibilità di successo di questa ardua impresa. E indubbiamente l'impresa era ambiziosa perché essa voleva affrontare un problema che gravava sull'Università: il pericolo della crescente specializzazione e del carattere monologico dell'insegnamento e del sapere. Questo pericolo io lo sentivo in modo vivissimo e fu questo che mi spinse a cooperare alla nuova istituzione voluta da Gerardo Marotta.
Ma in che senso "nuova"? In effetti già prima della fondazione dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici esisteva in Germania e in America una istituzione all'interno dell'Università, uno Studium generale che aveva un carattere interdisciplinare, ma solo parzialmente e marginalmente toccava il problema di come assicurare un rapporto dialogico tra gli studenti e il docente. L'interdisciplinarietà e il dialogo non sono marginali ma, al contrario, sono al centro dell'interesse dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, la cui attività fondamentale sta nei "seminari", un'attività in cui, come dice il nome, si gettano dei semi destinati a germogliare su un comune terreno spirituale, in quel "Leben in Ideen", di cui parlava Humboldt e che io ho proposto quasi ad emblema dell'Istituto. Perciò ritengo che lo scambio di idee e la forma dialogica con la quale l'Istituto opera suscitino, specialmente presso i giovani, maggiore interesse che non la prospettiva di una rapida carriera accademica.
Spero, pertanto, che questa "nuova" istituzione non resti l'unica, ma sia modello per tutta l'Europa e per tutti quei paesi del mondo che si prefiggano lo scopo di realizzare una cultura libera da rigidi schemi precostituiti, all'insegna di una solidarietà che sia garanzia di pace. Bisognerebbe, a questo scopo, superare un ostacolo di fondo: la subordinazione delle regioni economicamente svantaggiate rispetto a quelle favorite dal progresso tecnologico. Cultura ed economia debbono andare di pari passo. Tanto più oggi, quando l'intera economia mondiale, anche quella degli Stati tecnologicamente avanzati, comincia ad essere minacciata dai pericoli prodotti dal divario tra paesi ricchi e paesi poveri. Per far fronte a questa situazione di crisi, è necessario appellarsi alle nuove generazioni, alla flessibilità della gioventù come leva per una riorganizzazione della vita non secondo domini separati ma sulla base di una crescente solidarietà. Questo è il compito al quale, come suggerivo, bisognerebbe assolvere con pazienza e lavoro.

home