ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI

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Saggi per la scuola

ANTONIO GARGANO: INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA GRECA. Da Talete a Parmenide

LA STORIA DELLA FILOSOFIA

Il secondo incontro di introduzione alla filosofia greca ha preso l’avvio dall’interpretazione di una laminetta orfica, trovata nella tomba di una giovinetta in una località della Magna Grecia, in cui all’anima della defunta si consiglia di non accostarsi alla prima fonte che troverà, quella del «Lete», o della dimenticanza, bensì alla seconda, che «scorre dalla palude di Mnemosine», cioè della Memoria. È significativo che per la religione misterica (che visse parallelamente a quella olimpica) la salvezza consisteva nell’attingere alla memoria: mantenere la memoria vuol dire mantenere l’identità. Altrettanto significativo è che per i Greci Mnemosine era la madre delle Muse, quindi la madre della civiltà: la civiltà è dunque fondata sulla memoria storica.
La filosofia, come progressiva e sempre più adeguata consapevolezza dell’uomo, non può essere disgiunta dalla dimensione della memoria storica. «Siamo nani sulle spalle di giganti» affermavano gli Umanisti italiani, dando nuovo senso a un motto di Bernardo di Chartres: la nostra ragione potrà essere tanto più potente e lungimirante, quanto più ci saremo impadroniti del pensiero dei «giganti», cioè dei classici: solo a partire dalle loro altezze, da quanto essi hanno conquistato col loro ingegno, potremo lanciare uno sguardo su orizzonti più lontani. La filosofia dunque non può fare a meno di fondarsi sulle conquiste dei grandi pensatori che ci hanno preceduto. Il patrimonio di razionalità di cui possiamo godere noi oggi non è scaturito immediatamente, non germoglia soltanto dal terreno del presente, ma è un’eredità, il risultato del lavoro di tutte le generazioni che furono, come afferma Hegel.
La funzione dell’età nostra, come di ogni altra, è di impadronirsi della scienza, del patrimonio di conoscenze già esistente, di assimilarla, e di portarla a un grado più elevato.
Anche le scienze particolari procedono sulla base dell’ampliamento di quanto si è già raggiunto nei vari campi, ma nella filosofia quelli che sono gli stadi precedenti di sviluppo sono vivi e presenti nella comprensione attuale del mondo. E questo proprio perché la filosofia è sforzo di cogliere con la nostra ragione la razionalità presente nella realtà.
Ora, mentre la conoscenza sensibile è immediata, è fondata cioè sull’intuizione, su un atto di carattere puntuale, diretto (il vedere una penna, l’afferrare un bicchiere), la conoscenza razionale è mediata, è fondata cioè sul discorso, sulla concatenazione di una serie di termini intermedi, è conoscenza mediata, in cui ogni termine svolge un ruolo insostituibile, come l’anello di una catena, che, venendo meno, fa venir meno la catena stessa. Il dispiegarsi della ragione, il ragionamento, è concatenazione di termini. Questo modo di procedere è ben chiaro in matematica: basti pensare ai passaggi della dimostrazione di un teorema. La filosofia è come un tentativo di dimostrare il teorema della realtà intera: nel ragionamento filosofico nessun termine è superfluo o casuale (perciò Hegel afferma che: «Ogni filosofia è stata necessaria»).
Se il ragionare non è immediato, bensì mediato, è passaggio da un termine all’altro, è evidente che esso non può svolgersi in un punto del tempo, in un attimo, bensì è un processo temporale, storico: la filosofia si dispiega nella storia. Le categorie filosofiche, le chiavi di comprensione della realtà che la filosofia elabora, corrispondono ai singoli filosofi, ai singoli sistemi filosofici che si sono presentati, con reciproche critiche e superamenti, sulla scena della storia: all’ordine logico dei concetti filosofici corrisponde il loro presentarsi nella storia della filosofia: la filosofia coincide con la sua storia.
Si è rilevato a questo punto come sia debole il presentare la filosofia per problemi, come se ci fosse un problema ontologico (problema dell’essenza della realtà), e poi un problema gnoseologico (della conoscenza), e anche un problema morale (di ciò che è bene), e ancora un problema estetico (di ciò che è bello) etc., etc. Questo modo di procedere descrittivo e sommatorio è proprio delle scienze particolari, che classificano piante, animali, fenomeni diversi, esterni gli uni agli altri: il modo di considerare i vari aspetti della realtà, il porsi i vari «problemi», dovrà avvenire in filosofia svolgendo coerentemente princìpi: già a partire da Talete la filosofia tende a cogliere l’unità della realtà al di là dell’apparente disordine della molteplicità.
La filosofia, si diceva, coincide con la propria storia. E questa storia inizia in Grecia.
L’uomo greco dona all’umanità 1a consapevolezza di essere portatrice della cultura, cioè della possibilità di «coltivarsi», di crescere (a differenza delle specie animali, imbrigliate in meccanismi automatici e sempre identici, senza sviluppo se non nei tempi lunghi dell’evoluzione biologica): l’uomo è portatore di una possibilità di autoperfezionamento, di progresso, in contrapposizione alla natura, immobile nella sua ciclicità, ferma al ripetersi di meccanismi fissi. La cultura è per i Greci paideia (da 
παιδεύω = educare, formarsi): fu all’idea greca della cultura che Augusto riallacciò la missione dell’Impero romano. Senza l’idea greca della cultura non vi sarebbe un’antichità classica quale unità storica densa di messaggi per l’umanità successiva, non vi sarebbe stata una civiltà rinascimentale, mancherebbe ogni fondamento al «mondo civile».
Il netto distacco della civiltà greca dall’immobile mondo orientale subordinato al mito, è, come si è detto nel primo incontro, la scoperta greca del logos. Si è proceduto a specificare i vari ambiti di applicazione di questo concetto così importante per la filosofia greca.
Il logos (in greco = parola, ragione: il verbo
λέγω significa «dire», «parlare», ma c’è anche un verbo λέγω usato da Omero nel senso di «mettere insieme», «raccogliere», «scegliere») sta prima di tutto ad indicare la legge logica, la legge della ragione umana, che corrisponde alla legge di natura. La natura per i greci non è caos, disordine, bensì un tutto ordinato, armonioso, dotato di razionalità, di una logica interna, di leggi appunto. Al cosmo naturale deve corrispondere il cosmo umano: anche i rapporti fra gli uomini dovranno rispondere al logos, dovranno cioè essere ordinati secondo leggi (a questo punto è stato discusso il tema della giustizia nel mondo greco e si sono commentati brani di Esiodo, Solone, Teognide ed Eschilo. Un ordine, un’armonia dovranno anche essere presenti nel comportamento dell’individuo. Ci sarà dunque una legge morale, che consisterà anch’essa in una legge di armonia, di proporzione.«Sempre il giusto mezzo prevalga», dice Eschilo in un passo delle Eumenidi: l’errore consisterà nella «tracotanza», nella ύβρις, cioè nell’uscire dai giusti limiti.
Il logos, parola-chiave del pensiero e della civiltà greca, già prima della nascita della filosofia vera e propria, nei poeti e nei tragici, assume la quadruplice accezione di legge naturale, legge della mente umana (logica), legge di giustizia, legge morale.
Si è in conclusione brevemente illustrata la legge di sviluppo della filosofia greca dal momento «oggettivo» (naturalisti presocratici) a quello «soggettivo» (sofisti) a quello «sintetico» (Socrate, Platone): se c’è una logica di sviluppo degli eventi naturali, ci sarà infatti anche una logica di sviluppo delle creazioni umane, e quindi della filosofia stessa.

Materiali

E troverai alla sinistra delle case di Ade una fonte, e accanto a essa un bianco cipresso diritto: a questa fonte non accostarti neppure da presso. E ne troverai un’altra, fredda acqua che scorre dalla palude di Mnemosine: e davanti stanno i custodi. Dì loro: «Sono figlia di terra e di cielo stellante, inoltre la mia stirpe è celeste; e questo sapete anche voi. Sono riarsa di sete e muoio: ma date, subito, fredda acqua che scorre dalla palude di Mnemosine». Ed essi ti lasceranno bere dalla fonte divina, e in seguito tu regnerai assieme agli altri eroi.
(Laminetta orfica)

[...] Ogni filosofia è stata necessaria, e tale è ancora; nessuna quindi è scomparsa, anzi tutte sono conservate affermativamente nella filosofia come momenti d’un tutto.[...]. I princìpi si conservano, e la filosofia più recente è il risultato di tutti i princìpi precedenti; in tal senso nessuna filosofia è stata confutata. Ciò ch’è stato confutato, non è il principio di quella data filosofia, ma soltanto la pretesa che esso rappresenti la conclusione ultima, assoluta.
(HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, I, 48)

[...] Sebbene la storia della filosofia sia una vera storia, tuttavia non ha da fare con un mondo scomparso. Contenuto di questa storia sono i prodotti scientifici della razionalità; ed essi non sono transitori. Ciò ch’è stato conseguito in questo campo è il vero, ed esso è eterno, né può esistere in un tempo e in un altro no; è vero, non soltanto oggi o domani, ma fuori di ogni tempo, e in quanto esiste nel tempo, è vero sempre ed in ogni tempo. Certamente [...] la vita temporale e i desini esteriori dei filosofi non sono più, ma la loro opera, i pensieri, non li hanno seguiti nella tomba, giacché il contenuto razionale delle loro opere non è stato loro immaginazione o sogno. La filosofia non è sonnambulismo; ma piuttosto la più vigile coscienza; e l’opera di quegli eroi consiste appunto nell’aver tratto il razionale in sé dalle profondità dello spirito, dov’esso si trova dapprima soltanto come sostanza, come essenza interiore, e nell’averlo recato alla luce, nell’averlo sollevato alla coscienza, al sapere; consiste, insomma, in un progressivo risveglio.
(HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, I, 50)

I Greci, considerati dal presente, rappresentano rispetto ai grandi popoli storici dell’Oriente un «progresso» radicale, un nuovo grado in tutto ciò che concerne la vita dell’uomo nella comunità. Questa è impostata, presso i Greci, su fondamenti affatto nuovi. Per quanto altamente si apprezzi l’importanza artistica, religiosa e politica dei popoli anteriori, la storia di ciò che possiamo chiamare cultura, nel nostro senso consapevole, non comincia che coi Greci.
(W. JAEGER, Paideia, I, 3)

Se consideriamo i Greci sullo sfondo storico dell‘antico Oriente, la differenza è così imponente, che i Greci sembrano fondersi in un’unità col mondo europeo dell‘età moderna, che sin troppo facilmente interpretiamo nel senso della libertà dell’individualismo moderno. In realtà non v’è contrasto più crudo che tra la coscienza individuale dell’uomo odierno e lo stile di vita dell’Oriente preellenico, quale ci si presenta nella cupa maestà delle piramidi o delle tombe regali e degli edifici monumentali d’Oriente. Di fronte a tale inaudita esaltazione di singoli uomini-dèi oltre ogni misura naturale, dove si esprime un sentimento metafisico a noi estraneo, ma anche di fronte all’annichilimento della moltitudine, senza il quale è impensabile quell’esaltazione del dominatore e della sua importanza religiosa, l’inizio della storia greca si presenta come l’alba di una nuova valutazione dell’uomo, che per noi facilmente si fonde senz’altro con l’idea, diffusa specialmente dal Cristianesimo, dell’infinito valore delle singole anime umane e con l’autonomia spirituale dell’individuo, rivendicata dal Rinascimento in poi. E invero come giustificare, senza alquanto del senso greco della dignità dell’uomo, il diritto dell’individuo all’alta importanza che gli conferisce l’età moderna?
I Greci hanno un senso innato di ciò che corrisponde alla «Natura». Il concetto di Natura, che essi per primi coniarono, è senza dubbio sgorgato dalla loro particolare disposizione di spirito. Molto prima che la loro mente producesse quest’idea, essi vedevano già le cose con tali occhi, cui nessun elemento del mondo si presentava mai isolato nella sua particolarità, ma sempre e soltanto inquadrato nel nesso vivo di un tutto, dal quale riceveva la sua posizione e il suo significato. Noi chiamiamo questo modo di vedere «organico», perché concepisce il singolo quale membro di un tutto. Il bisogno dello spirito greco di una comprensione cosciente delle leggi della realtà, che si rivela in ogni campo della vita, nel pensiero, nella parola e nell’azione come in ogni specie di creazione artistica, è connesso con questa capacità di cogliere la struttura naturale, insita, originaria, organica dell’essere.
(W. JAEGER, Paideia, I, 9-11)

Tale è la legge che agli uomini impose il figlio di Crono:
ai pesci e alle fiere e agli uccelli alati
di mangiarsi fra loro, perché fra loro giustizia non c’è;
ma agli uomini diede giustizia che è molto migliore;
se infatti qualcuno è disposto a dare giuste sentenze
cosciente, a lui dà benessere Zeus onniveggente;
ma chi sia testimone, e deliberatamente, commette spergiuro
e mente e Giustizia offendendo pecca senza  rimedio,
oscura dopo di lui la sua stirpe sarà;
migliore invece sarà la stirpe dell’uomo
che il giuramento rispetta.
(ESIODO, Opere e giorni, vv. 276-286)

[...] si fanno ricchi dietro all’ingiustizia
[...] senza riguardo ai beni sacri o pubblici,
chi di qua chi di là saccheggiano, rapinano,
spregiando i fondamenti di Giustizia.
Ella non parla: conscia del presente e del passato,
arriva sempre, vindice, col tempo.
(SOLONE, D 3)

Ogni virtù nella giustizia si compendia.
(FOCILIDE, D 10)

Scegli piuttosto un’esistenza pia con pochi mezzi
che la ricchezza frutto d’ingiustizia.
Nella giustizia tutti i privilegi assommano,
e il giusto è sempre un ottimate, Cirno.
[...] C’è una cosa, che inganna gli uomini: i beati
puniscono la colpa variamente.
Se c’è chi paga di persona il debito, e non lascia 
in sospeso sui figli la rovina,
c’è chi sfugge alle grinfie di giustizia: acerba morte
gli cala sulle palpebre, lo stronca.
(TEOGNIDE I. 145-148. 203-208)

Strofe III
Senza freno di leggi non lodare la vita, né senza libertà. Sempre il giusto mezzo prevalga. Questo volle il dio, che i casi diversi diversamente sorveglia e dirige.
E sia qui ripetuto il detto: «Di Empità verissima figlia è Tracotanza». Da equilibrio di mente nasce felicità a tutti cara, da tutti desiderata.
Antistrofe III
Anche ripeto, ed è legge suprema: «Rispetta l’altare di Giustizia. Non ti seduca guadagno a rovesciarlo con piede sacrilego, perché il castigo sopravverrà».
Ogni azione ha suo termine fisso. Abbia ciascuno per i genitori la reverenza dovuta, e sia rispettoso degli ospiti che frequentano la sua casa.
Strofe IV
Chi per suo volere, e non costretto da necessità, ama Giustizia, non sarà infelice né potrà mai perire del tutto. Ma chi  per sua ribellione trasgredisce ogni norma, costui io dico che con tutta la sua nave, con tutto il suo carico di ricchezze contro giustizia accumulate, per forza un giorno dovrà precipitare nel mare quando il vento della tempesta gli prenda le vele  e gli spezzi l’antenna.
Atena. Ascoltatemi, o cittadini di Atene; udite che cosa è questo ordine da me istituito, voi che per primi siete chiamati a giudicare in una causa di sangue.  Anche per l’avvenire resterà al popolo Egeo, e sempre rinnovato, questo Consiglio di giudici. Il colle di Ares è questo: dove già le Amazzoni ebbero loro sedi e tende quando per odio a Teseo qui si  accamparono in guerra e di fronte all’Acropoli antica questa città nuova munirono di alte torri; e qui fecero sacrifici ad Ares, ond’ebbero il nome di Ares la rupe ed il colle. Su questo colle Reverenza e Paura, che di Reverenza è cognata, impediranno ai cittadini di fare offesa a Giustizia, quando non vogliano essi stessi sovvertire le leggi: chi di correnti impure e di fango intorbida limpide acque non troverà più da bere. Né anarchia né dispotismo: questa è la regola che ai cittadini amanti della  patria consiglio di osservare; e di non scacciare del tutto dalla città il timore perché senza il timore nessuno dei mortali opera secondo giustizia. E se voi, come dovete, avete timore e reverenza della maestà di questo istituto, il vostro paese e la vostra città avranno un baluardo di sicurezza quale nessun’altra gente conosce, né fra gli Sciti né nella terra di Pelope. Incorruttibile al lucro io voglio questo Consiglio, rispettoso del  giusto; e inflessibile e pronto, vigile scolta che se anche gli altri dormono è desta. Questi sono gli avvertimenti che ai miei cittadini, pensando al futuro, mi sono indugiata a dare. E ora levatevi, o giudici, recate all’urna i vostri suffragi e, rispettando il giuramento, definite la causa. Non ho altro da dire.
(da ESCHILO, Eumenidi, II e III)

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