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ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI

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Paul Ricoeur
Università di Parigi X - Nanterre

Una istituzione liberale e “trasversale”

Sono felice di associarmi al pubblico omaggio reso dall'Unesco all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici ed al suo Presidente. Ecco un mecenate dei tempi nostri, che ha tanto rischiato per un'inedita impresa culturale, che ha saputo procurarsi appoggi e aiuti, senza mai, per questo, compromettere la propria integrità. Egli ha saputo essere, ad un tempo, ideatore e realizzatore di progetti, dando inizio ad un’impresa gigantesca. In un primo momento, da vecchio accademico francese, sono rimasto incuriosito, in seguito sono stato felice di condividere i sogni, i rischi, le ragioni, i progetti di questo straordinario animatore e organizzatore di energie. Voglio parteciparvi quanto ho appreso, in più di quindici anni di collaborazione con l’Istituto, durante i seminari settimanali che, anno dopo anno, vi ho tenuto.
In primo luogo, l’Istituto si ispira ad un modello intellettuale che mi arrischio - con tutte le difficoltà legate oggi a tale parola - a caratterizzare quale modello “liberale”, nel significato etico e politico del termine. E qui voglio dire che parteggio per la parola “liberale”, purtroppo guastata oggi dal suo uso in senso economico e mercantile. È necessario ritornare alla forza racchiusa nel significato di questa parola, che ha all’origine due poli: l'individuo e la sua libertà di pensiero, di espressione, di insegnamento, di pubblicazione, da un lato, e dall’altro il dovere morale nei confronti di tutti gli altri individui, nell’ambito di una visione solidaristica che percorra la società dal basso verso l’alto. L'Istituto è per me un’istituzione che incarna nel modo più evidente questo modello intellettuale; ed è con emozione che ogni volta salgo – per la verità con difficoltà sempre maggiore - la grande scalinata in pietra del Vesuvio per la quale si accede a Palazzo Serra di Cassano, e mi imbatto nell’omaggio che lì è reso ai poeti, agli intellettuali, ai filosofi che per la loro fedeltà all’ideale liberale furono, nel 1799, vittime della reazione borbonica. È questa l'eredità che ho trovato ribadita e senza tregua riproposta dall'Istituto.
Questo modello si traduce nella concezione di un'organizzazione fondata sul carattere “trasversale” della cultura. Dico apposta “trasversale”, anziché interdisciplinare, in un senso che nell'ambiente universitario rimane, purtroppo, ancora limitato. Come ha notato la Signora Gendreau-Massaloux, questa istituzione è davvero complementare rispetto all'università, complementare e senza alcuna sorta di spirito competitivo o di gelosia. Insisto sulla parola “trasversale”, dal momento che è questa la cosa più difficile da ottenere all'interno dell'università, dove la divisione del sapere è, al postutto, una estensione della divisione del lavoro. La “trasversalità” è un concetto inverso rispetto a quello della divisione del lavoro, che poi è quello della divisione “sotterranea” di un progetto scientifico o umanistico attraverso la diversificazione dipartimentale degli insegnamenti.
In realtà, questo programma trasversale percorre le scienze umane, dopo il loro modellarsi sulle scienze naturali, sino al modello secondo il quale vengono concepite nella tradizione ermeneutica, sulla quale spenderò più tardi qualche parola. Peraltro, esso non collega soltanto le scienze umane tra loro - la linguistica, la demografia, la storia, eccetera - ma anche le stesse scienze umane alle scienze della natura. E voglio qui evocare una persona che oggi non è con noi, il Professor Prigogine, il quale mi sembra ben simboleggiare questa trasversalità tra le scienze che vengono definite “dure” e quelle chiamate “umane” . Esiste, a mio avviso, un’affinità profonda tra il percorso trasversale dei saperi e lo spirito liberale, nemico tanto delle barriere interne, quanto delle frontiere imposte dall'esterno. I numerosi seminari, le conferenze, gli incontri, i progetti su vasta scala e l'enorme lavoro editoriale costituiscono una rete abilmente intessuta, che pone l'Istituto su di un piano diverso, rispetto alla maggior parte delle istituzioni dello stesso genere. Lo spirito di inventiva è qui un corollario del carattere liberale e trasversale. E permettetemi di sottolineare che, nonostante la molteplicità delle sue iniziative, l'Istituto non è mai venuto meno all’impegno che gli deriva dall’essere intitolato agli studi filosofici. Ciò significa che la rete ha un centro: la filosofia; ma non la filosofia intesa nel senso professionale della parola, ossia la filosofia cui io stesso appartengo “per mestiere”, bensì la filosofia nel suo spirito ad un tempo coordinatore ed egemonico. E intendo per egemonia - nel senso proprio della parola - la testa che governa le membra, ma che vive della vita delle membra. E forse, ancor più che “egemonico”, impiegherei il termine “panoramico”. La filosofia può rappresentare, per l'appunto, il mezzo di circolazione trasversale dei saperi. Essa stessa deve farsi tanto trasversale quanto liberale.
Parlando dell'intento filosofico dell'Istituto, mi permetterete di richiamare, per concludere, la figura del filosofo che ha, di certo, maggiormente segnato l’Istituto negli ultimi vent'anni: la figura del mio maestro ed amico Hans-Georg Gadamer, morto di recente, che è stato il grande nume tutelare dell'Istituto da quando lo frequento. Nell'annuncio della sua morte, Gadamer ha fatto scrivere che egli “aveva preso congedo”; è questa l’espressione che ha impiegato: ha “preso congedo”, dopo un'esistenza ricca ed intensa, egli semplicemente “ha preso congedo”. Ciò significa che con grande semplicità - quanto più silenziosamente era possibile, io direi -egli è uscito dalla grande conversazione che aveva avuto inizio prima di lui e che proseguirà dopo di lui; come del resto viene chiesto a ciascuno di noi: entrare in una conversazione che è cominciata prima di noi e che continuerà dopo di noi, entrare nello spazio pubblico ed uscirne dignitosamente ed onestamente. 
Gadamer ha potuto scrivere questa frase, perché possedeva un elevato concetto del “filosofare insieme”. Ed è questo “filosofare insieme” che gli ha consentito di patrocinare e di celebrare, con la sua presenza, la visione liberale e trasversale cui ho accennato all'inizio del mio discorso. Direi che il titolo di quel grande libro in cui è racchiusa l'intera sua opera, Verità e metodo, rappresenta una sorta di motto dell'Istituto, rivolto ai filosofi e ai non-filosofi. Il titolo Verità e metodo dice tutto: il metodo, che si disperde lungo le linee dell'oggettività; la verità che si raccoglie nell'ordine delle scienze umane, ma che soprattutto è accompagnata, inquadrata, dall'estetica, dall'idea del bello, da una parte, e, dall'altra parte, dall'idea della parola che ci unisce tutti, perché essa, ci precede sempre, sempre è stata già detta tra noi, per noi, e in fin dei conti da noi.
Caro Presidente Marotta, Lei non presiede soltanto un istituto italiano di filosofia, ma un istituto dalla mira universale, il cui umanesimo brilla, a partire dal punto luminoso della sua sede di Napoli.

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