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Dieci tesi per un Manifesto

1 aprile 2021

 

‘Dieci tesi per un Manifesto’ è un testo redatto da un gruppo di docenti di diverse aree scientifiche dell’Università di Padova. Il gruppo è nato dal bisogno di condividere esperienze e riflessioni rispetto alla straordinaria trasformazione che ha coinvolto l'università durante la pandemia da SARS-CoV-2, producendo una potentissima accelerazione di processi già avviati da più di vent'anni.
Università libera, università del futuro https://www.universitadelfuturo.it


DIECI TESI PER UN MANIFESTO

1. L’università libera è l’università del futuro Solo la tutela e la garanzia della libera manifestazione del pensiero nelle attività di ricerca e nella didattica, la promozione e la salvaguardia delle differenze culturali e scientifiche nel pluriversum dei saperi è in grado di generare avanzamento virtuoso nelle conoscenze, nelle arti, nelle tecniche, e di creare uno scarto temporale rispetto alle urgenze del contingente in grado di immaginare, pensare, prefigurare, anticipare gli scenari futuri. Ogni forma esplicita o surrettizia di standardizzazione e di uniformazione procedurale, di valutazione algoritmica dei risultati della ricerca e degli apprendimenti, di controllo tecnologico delle attività dei docenti- ricercatori, oltre ad essere negatrice della libertà accademica, mutila qualsiasi intenzione conoscitiva, ne costringe il raggio d’azione entro orizzonti ristretti, consegnando l’operosità accademica alla sola risoluzione di problemi di corto respiro dettati da Agenzie per lo più interessate all’utile immediato.

2. L’università del futuro non è un’azienda

Uno dei rischi che ha accompagnato molti dei processi che hanno agito sull’università pubblica nei primi vent’anni del XXI secolo è stato quello di una sua progressiva trasformazione in senso aziendalistico-gestionale. Ogni singola Università è di fatto divenuta un player nel mercato globale della conoscenza e della formazione retto dai principi di concorrenza e di competizione. Il gergo economicistico e del management si è ben impiantato nel discorso universitario modificandone natura, scopi, finalità, condotte. Le studentesse e gli studenti vengono sempre più considerati in termini di clienti e l’idea della cosiddetta customer satisfaction pare diventare la modalità principale di organizzazione e di valutazione della vita accademica. Noi intendiamo rivendicare l’importanza, non passatista o conservatrice ma che riconosce le sfide del tempo presente, di una vera universitas non strutturata dalla logica che regge l’impresa economica. È necessario mantenere viva una riflessione critica sul modello di università come “agenzia” da cui acquistare prestazioni e contenuti, regolata e definita dalle esigenze del mercato globale della conoscenza più che da quelle formative, culturali e scientifiche. Riteniamo dunque di dover mantenere una capacità di critica e di intelligenza vigile circa il principio della massimizzazione del profitto che di fatto è esondato dal proprio alveo naturale – l’economia reale – per interessare ormai ogni segmento della prassi umana e sociale, inclusa la formazione, modificando in tal modo alla radice la vocazione storica delle istituzioni formative. Questa non può e non deve essere intesa come un’essenza immodificabile, ma neppure come un fardello divenuto privo di senso. L’università-azienda nega alla radice l’idea di formazione e di scienza intesi come beni pubblici non riconducibili ai principi di valorizzazione economica propria dei beni di mercato.

3. Promuovere la libertà e il pluralismo nella ricerca

Nel campo della ricerca le scoperte scientifiche d’importanza fondamentale – salvo pur notevoli eccezioni – si sono giovate della libertà accademica e di un virtuoso trinomio ricerca-formazione- didattica almeno temporaneamente sganciato da scopi immediati, che difficilmente può riprodursi in toto nei laboratori industriali, sui quali gravano in prima istanza legittime necessità commerciali. Anche la ricerca, dunque, per poter continuare ad esercitarsi, deve poter continuare a contare sulla libertà svincolata da ipoteche meramente produttivistiche.

È bene che i risultati delle ricerche, in ogni campo, siano valutati e non sfuggano alla possibilità di controllo; docenti e ricercatori universitari non pretendono alcun tipo di immunità e non temono, ma anzi auspicano, forme adeguate di verifica. Al tempo stesso, richiedono una maggiore trasparenza

circa gli scopi e i metodi della valutazione. Rendere conto dei risultati del proprio lavoro è un dovere, ma non si può pensare che tutti i tipi di ricerca possano essere misurati con gli stessi metri di valutazione; tanto meno si può pretendere la quantificazione derivante da asettici procedimenti algoritmici. La libertà e il futuro della ricerca sono garantiti dalla necessaria pluralità degli approcci e delle metodologie. Inoltre, la logica della ricerca non sopporta una pianificazione assoluta, né rigidi piani di lavoro triennali o quinquennali: se non si è aperti alla dimensione dell’evento, di ciò che non è progettabile o prevedibile, non si dà vera scoperta o vero incontro con un sapere, ma mera proceduralità e applicazione di protocolli basati su binari predeterminati con l’unico fine di migliorare il posizionamento dell’Università nei ranking internazionali – che spesso differiscono tra loro, essendo non poco convenzionalistici e opinabili – e il mero capitale reputazionale.

4. Tecnologie a servizio della didattica e non didattica a servizio delle tecnologie

Le tecnologie per la didattica, qualunque sia la loro specifica funzionalità, non sono strumenti neutrali. Esse, qualunque sia il loro utilizzo, predeterminano e oggettivano la lezione e le sue finalità. Non riteniamo l’e-learning di per sé negativo e pensiamo che l’attivazione consapevole e libera di forme aggiuntive di sostegno alla didattica in presenza attraverso l’uso di tecnologie sia una sfida importante e preziosa, forse anche decisiva. Riteniamo però deleteria l’idea che la didattica a distanza possa essere pensata in maniera onnipervasiva e come piena sostituzione della didattica in presenza. Intesa in questo modo, la didattica a distanza rischia di compromettere quell’esperienza di apprendimento critico, profondo e non frammentato, che deve contraddistinguere la didattica all’università. L’insegnamento non può e non deve essere mera trasmissione di un sapere riproducibile come un bene di mercato e tracciabile come un prodotto economico “lungo la filiera della conoscenza”, replicabile all’infinito, sempre più standardizzato, nemmeno relativamente alle sue parti cosiddette “teoriche” rispetto a quelle cosiddette “pratiche”, che per alcune discipline in particolare risultano assolutamente intrecciate o addirittura indistinguibili. Esso va piuttosto inteso come ciò che favorisce l’esperienza qui e ora di contenuti ogni volta originali perché ripensati e ricreati, e non già depositati come materiale inerte nel Web. Il Docente, in questo senso, non è un “facilitatore di apprendimenti”, un impiegato d’aula, un intrattenitore multimediale, un pedante ripetitore della dottrina, ma uno studioso che nella didattica prosegue il suo impegno di ricerca, e nella ricerca prosegue il suo impegno nella didattica, mettendo gli studenti al cospetto – problematico – della “scienza che non è ancora del tutto scoperta”.

5. Promuovere il pluralismo della didattica

La libertà d’insegnamento è costituzionalmente riconosciuta e deve essere garantita. Tale libertà non può essere considerata come un orpello romantico per anime belle oppure come un privilegio retaggio del passato, neppure come una licenza all’arbitrarietà irresponsabile nella messa in opera del rapporto didattico oppure ancora come una fuga dalle responsabilità. Essa è un baluardo della formazione (scolastica e universitaria) democratica, che a sua volta si lega alla libera manifestazione del pensiero, la garanzia che non dovrà mai prodursi una reductio ad unum delle possibilità didattiche e dell’idea generale di formazione, da intendersi dunque sempre aperte e molteplici. Riflettere apertamente su determinati modelli di gestione dell’istituzione universitaria, della ricerca e della didattica significa riflettere su un modello possibile di Università senza adottare formule o soluzioni già scritte come fossero un destino di cui limitarsi a prendere atto.

Contro ogni “pensiero unico” sulla didattica si rivendica il fatto che essa possa essere pensata e concettualizzata in modo plurale, evitando ogni forma di standardizzazione entro modelli costruiti esclusivamente sulla misurazione degli effetti d’apprendimento. Si tratta di rimettere al centro l’acquisizione di un sapere capace di lunga gittata in grado di orientare chi lo possiede dinanzi ai cambiamenti continui di scenario e di contesto, senza adeguare la formazione esclusivamente all’“oggi”, alle esigenze di un mercato del lavoro in rapida trasformazione.

6. Università e internazionalità

La dimensione internazionale che gli atenei si sforzano di favorire, acquista un vero, profondo significato quando diventa esperienza reale e fisica, come testimonia la pluriennale esperienza degli scambi Erasmus e dagli scambi vivi di studenti, dottorandi, ricercatori, docenti. I programmi di mobilità internazionale ci hanno arricchiti facendo dialogare fra loro, e con i docenti, giovani di diversi paesi nelle stesse aule, con una comune compartecipazione di esperienze che sono pensabili solo nella porosità di uno spazio universitario europeo unito da una fitta trama di viaggi, soggiorni ed esperienze vissute. La proiezione internazionale della didattica e della ricerca non deve diventare un principio fine a se stesso, un marchio di qualità estrinseco e provinciale imposto secondo forme e modi prestabiliti, ma un mezzo per favorire la circolazione delle idee e delle pratiche ed ogni virtuoso processo di contaminazione transnazionale e multidisciplinare, da consegnare alle libere determinazioni di ciascun ricercatore e di ciascun docente, tenendo conto delle differenti e non uniformabili esigenze degli ambiti di studio e ricerca.

7. L’università come esperimento democratico

La gestione dell’Università, nei suoi aspetti organizzativi e di governo, va intesa nel senso del lavoro collegiale degli organi elettivi preposti ai vari livelli, secondo criteri democratici e di trasparenza capaci di garantire la pluralità e il dissenso, e di promuovere l’interesse pubblico. L’efficienza performativa delle procedure che gestiscono la ricerca, la didattica e la vita quotidiana di docenti e studenti non deve porsi come criterio di legittimazione progressiva di ordini preferenziali di valore sottratti alla libera discussione, al giudizio critico, al dissenso. La gestione degli assetti riguardanti l’esercizio delle attività di ricerca e delle attività didattiche va ricondotta alla operatività degli organi e delle assemblee elettive secondo principi di distribuzione democratica dei poteri, contro ogni forma di verticalizzazione dei processi decisionali. A salvaguardia del legame imprescindibile tra formazione, democrazia, scienza.

8. L’università del futuro non riduce la formazione ad apprendimento di competenze professionali L’esperienza dello studio universitario si offre come fase cruciale di maturazione e sviluppo della persona, a livello integrale. La vita comunitaria, la condivisione dei tempi e degli spazi, le amicizie che si sviluppano costituiscono un patrimonio di esperienze per il soggetto e questo patrimonio va preservato e tutelato. Gli studi universitari, pur presentandosi in primis come opportunità di ampliare il proprio bagaglio di conoscenze, abilità e competenze in vista di successivi sbocchi professionali, non possono essere ridotti a mero centro di formazione professionale, in cui tutto è subordinato all’acquisizione di titoli spendibili in un orizzonte di carriera. L’università vive anche di una dimensione che trova giustificazione in se stessa, in cui teoria e pratica non sono disgiunte, e ogni giorno trova la sua pienezza e la sua ragione di senso per le scoperte che offre. Ridurre la formazione universitaria alla mera acquisizione di competenze professionali è una tendenza in atto da tempo ed ha una natura regressiva che guarda in modo preoccupante al passato. Vuol dire consegnare i giovani meno fortunati ad un permanente ritardo formativo ad esclusivo beneficio del mercato della formazione continua fondato sulla inevitabile obsolescenza delle competenze. Vuol dire privarli di quelle conoscenze solide, critiche e di ampio respiro capaci di aprire attraverso il sapere l’orizzonte della realtà nel suo insieme; non come privilegio di un determinato ceto ma come possibilità emancipativa cui tutti hanno diritto di aspirare.

9. L’università libera è un’università che libera

È importante che l’università sia al passo con i tempi e che non corra il rischio di ridursi a un mausoleo vetusto e fossilizzato. Al tempo stesso, l’università è una delle poche istituzioni che può e deve essere anche luogo di critica nei confronti di alcuni modelli – mentali, economici, comunicativi, comportamentali – che altrove possono invece farsi strada senza incontrare alcuna forma di resistenza

o di correttivo. Questo non significa affatto che essa debba svolgere una funzione di retroguardia, anzi. Un’università libera non può che essere decisamente orientata in direzione della trasformazione e del futuro. Riteniamo però al contempo che i cambiamenti in atto e l’idea di futuro debbano essere di continuo discussi e analizzati, sviscerandone le implicazioni – non ingenuamente accolti senza un pensiero critico. Chi pensa che il futuro sia semplicemente ciò che deve accadere, sta in realtà lasciando accadere ciò che un certo modo di pensare il mondo ha deciso che debba accadere.

10. L’università rilancia il desiderio del sapere e della capacità di convivenza

Se la formazione universitaria non tocca le corde più intime di coloro che la abitano e non fa muovere un desiderio nei confronti del sapere in sé, perché lo sottomette a istanze sempre eteronome, finisce per cristallizzarsi in un sepolcro imbiancato. Disgiungere la ricerca di senso e il valore esistenziale dalla ricerca e dalla didattica universitarie significa fallire completamente la missione emancipatrice e civilizzatrice del sapere. L’università per cui ci vogliamo impegnare è piuttosto un luogo di emersione del senso e non solo di produzione di competenze e d’innovazione tecnologica in linea con le richieste della produzione, un luogo in cui esseri umani giovani e meno giovani si incontrano e contribuiscono alla costruzione di una società attraverso la costruzione di un sapere integrale, senza barriere tra discipline, non subordinato a logiche di mercato.

 

 

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