Diario della crisi

È possibile trovare le parole per esprimere lo smarrimento che proviamo, in questa sospensione del tempo attraversata da vertiginosi cambiamenti? Per dare voce all'esperienza della separazione dai nostri prossimi, che pure ci accomuna a tutti gli abitanti del pianeta? Per restituire le domande che ci poniamo, immersi in una sfera cognitiva dissonante, con la sensazione che ci sveglieremo da questo incubo in un mondo trasformato e da trasformare? Proviamo a trovare insieme queste parole.

Paolo Becchi – Kant col green pass?

18 novembre 2021

L’Europa si prepara a fronteggiare la quarta ondata della pandemia. In tale preoccupante contesto il “Diario della crisi” rimane aperto alla discussione, ospitando testi che esprimono una pluralità di posizioni, anche molto problematiche, con il rinnovato invito ad ampliare e allargare le prospettive della riflessione.


Kant col green pass?

Da un punto di vista schiettamente giusfilosofico e argomentando in senso kantiano - ci sono certo altri approcci - si potrebbe dire che il singolo individuo non può mai essere ridotto a mero mezzo, neppure per raggiungere uno scopo benefico come la difesa della salute pubblica. L’”imperativo categorico” non lascia dubbi.
Sotto questo profilo, dunque, non è legittimo il diritto di imporre una generalizzata vaccinazione coatta, vale a dire senza un consenso libero e informato degli interessati. Con una eccezione, che anche Kant sarebbe disposto a sottoscrivere. Se il pericolo di contagio fosse infatti talmente grande da mettere in pericolo l’esistenza di una intera comunità, allora, in questo specifico caso, lo “stato di necessità” giustificherebbe l’obbligatorietà della vaccinazione e persino l’uso della forza per imporla. Ma è questa l’attuale situazione?
Insomma, l’obbligo vaccinale di cui si parla oggi è proporzionato al pericolo reale?
Nonostante i decessi che ci sono stati, non ci sembra questo il caso. E quindi dovrebbe valere l’imperativo categorico kantiano.
Si potrebbe avanzare una obiezione con riferimento ad alcune professioni per le quali in linea di principio non andrebbe escluso un obbligo vaccinale. Penso al personale ospedaliero e sanitario in genere. La missione del medico è quella di curare e se possibile di guarire, non di rischiare di diffondere malattie. Anzi semmai è proprio lui che nell’ esercizio della professione dovrebbe essere disposto ad assumersi personalmente dei rischi. Nessuno è obbligato a fare il medico ma se lo fa ha un’etica professionale che deve rispettare. Queste considerazioni prima facie plausibili si espongono tuttavia ad una critica dirimente che riguarda la sicurezza del vaccino, perché se lo si vuole addirittura imporre bisogna essere sicuri della sua efficacia e del fatto che non abbia pericolose controindicazioni.
Ma proprio qui sta il busillis. Che tipo di sicurezza, di evidenza scientifica, hanno questi vaccini approvati così in fretta? Ammettiamo pure che questo sia avvenuto per cercare di contrastare il più rapidamente possibile la diffusione del virus, ma è difficile contestare i tempi record con cui si sono sviluppati e il fatto che non tutte le fasi della sperimentazione sono state rispettate. La realtà è che in Germania si stava già lavorando da tempo su una molecola polimerica, un acido nucleico, e si è pensato di utilizzarla per la produzione di un vaccino. Mi riferisco ai vaccini a RNA messaggero, sviluppati da BionTech Pfizer e Moderna, che operano con biotecnologie innovative, mai usate in precedenza. Certo, la stessa libertà della ricerca scientifica implica che non si debba limitare la possibilità, per essa, di cercare nuovi farmaci, di tentare nuove strade come è avvenuto in questo caso, con vaccini che traggono origine non dal virus inattivato ma da un acido ribonucleico che dovrebbe indurre la produzione di anticorpi da parte del nostro sistema immunitario.
Questi nuovi vaccini potrebbero essere molto promettenti e trasformare la vaccinologia per come conosciuta sino ad oggi. Per ora, tuttavia, sono solo riusciti a modificare la definizione di vaccino, perché questi nuovi prodotti non vi rientravano completamente. Inoltre, non si può negare che la stessa ricerca scientifica sia caratterizzata dall’incertezza, tanto è vero che gli stessi produttori di questi vaccini a mRNA dicono, ad esempio, che non è possibile prevedere danni sulla lunga distanza e non escludono che la vaccinazione dovrà essere ripetuta più volte perché questo vaccino perderebbe efficacia in breve tempo. Sarà pur vero che sulla “lunga distanza” siamo tutti morti, ma possiamo ragionevolmente escludere che
alcuni vaccini possano, almeno per alcune categorie di persone essere addirittura nocivi alla salute?
Qui si apre un problema. Un conto è la sperimentazione del vaccino, altro conto la vaccinazione di massa. La sperimentazione di qualsiasi farmaco, e quindi anche di un vaccino, ha bisogno quando si applica su soggetti umani del consenso libero e informato degli interessati, che sanno di esporsi al rischio di effetti dannosi che non erano noti. Sulla base di queste sperimentazioni il farmaco viene poi approvato. Ma nel caso dei vaccini attuali, autorizzati in modo condizionato dalle autorità competenti, sono sorti alcuni dubbi sui risultati delle sperimentazioni effettuate. Luc Montagnier, premio Nobel per la medicina nel 2008, ad esempio, ritiene che questo nuovo tipo di vaccini possa avere effetti al momento imprevedibili sulle generazioni future. Dubbi analoghi in Italia sono stati espressi da Giulio Tarro e in Germania da Sucharit Bhakdi. Non dico che Montagnier, Tarro o Bhakdi (e altri nomi di rilievo si potrebbero aggiungere) abbiano ragione, dico che ci sono studiosi autorevoli, favorevoli peraltro in linea di principio ai vaccini, che sollevano dubbi e perplessità su questi vaccini. Il che quanto meno significa che la cosa è controversa nella comunità scientifica.
Insomma, abbiamo dato la gestione della pandemia in mano ai virologi, e non pare che le cose siano andate benissimo, tra lockdown e coprifuochi improvvisati, aperture e chiusure a singhiozzo, litigi continui tra esperti su praticamente ogni aspetto della malattia – dall’obbligo delle mascherine all’apertura delle scuole. Ora però ci fidiamo ciecamente di alcuni vaccini che per la prima volta vengono sperimentati sugli esseri umani, i quali in ultima istanza - avrebbe forse detto il vecchio Kant - vengono di fatto utilizzati come cavie, perché la “vera” sperimentazione per questi vaccini è la vaccinazione di massa attualmente in corso. Una ragione di più per non imporre alcun obbligo vaccinale. Un trattamento sanitario potrebbe essere imposto, al limite, solo nel caso in cui sia dimostrato che esso non incide negativamente sullo stato di salute di colui che contro la sua volontà riceve. Ma non è questo il caso considerate le molteplici reazioni avverse e persino letali che hanno questi vaccini, a differenza degli altri.
Ma c’è una Grundfrage che nessuno vuole porsi: ci siamo affidati ai vaccini per le evidenze scientifiche che sono state raggiunte? Perché è dimostrato che essi sono efficaci e che non provocano alcun serio danno alla salute? O ci siano infilati in questa campagna di vaccinazioni di massa solo perché tanto è forte la voglia di uscire da questo incubo che siamo disposti a credere in qualsiasi cosa ci si presenti come possibile soluzione? Crediamo, insomma, nel vaccino perché è sicuro ed efficace o vogliamo che sia sicuro ed efficace solo perché ci crediamo, perché abbiamo bisogno di crederci, illudendoci in questo modo di uscire al più presto da questo incubo?
La narrazione, oggi, è che il vaccino - e solo il vaccino - ci libererà dal male non una volta per sempre, perché andrà ripetuto nel tempo, ma perlomeno ci garantirà quella sopravvivenza, sull’altare della quale abbiamo sacrificato qualsiasi cosa. Una punturina, o due, o forse tre, o chissà quante nel corso del tempo per tornare a vivere, e sempre col consenso. Si evita formalmente l’obbligo vaccinale ma si costringe chi non si vaccina di fatto a restare chiuso in casa, come se fosse agli arresti domiciliari pur senza aver commesso alcun reato. Solo chi si vaccina può pensare (o almeno illudersi) di ritornare a una “vita normale”.

Ed ecco allora il green pass, il passaporto vaccinale che serve perfettamente a distinguere i non vaccinati dai vaccinati e discriminare i primi: il non vaccinato appartiene ad una razza inferiore ed è pericoloso per quella superiore. Ma certo non vogliamo arrivare oggi al campo di concentramento per i non vaccinati, l’ipocrisia del nostro tempo ha trovato questa soluzione: tieniti pure se vuoi la tua fottuta libertà, non fare come gli altri le punturine, ma ti renderemo tanto difficile la vita che, vedrai, alla fine ti farai pungere anche tu, o non ti resterà che crepare da solo nel ghetto di casa tua. La barbarie dal volto umano, per riprendere il titolo di un fortunato libro di Bernard-Henry Lévy, ma anche lui oggi sul green pass è silente.
Proprio nel momento in cui ci sarebbe maggior bisogno di liberalismo i “liberali” tacciono. Si erano nascosti dietro alla mascherina, ma sul green pass hanno rivelato il loro volto. Del resto, come ha mostrato di recente Wilkinson il liberalismo può essere molto più autoritario di quanto non sembri.
Esagerazioni? Ormai, l’attacco contro quanti hanno manifestato e stanno manifestando le proprie perplessità e le proprie critiche verso il cosiddetto green pass, si è fatto più violento che mai. Ormai non sono solo i “no vax”, ma chiunque protesti anche contro il “salvacondotto” vaccinale ad essere considerato per questo solo fatto un “complottista”, un “negazionista”: qualcuno le cui opinioni non vanno neppure prese in considerazione, non hanno diritto neppure di essere ascoltate, sono immediatamente bollate come “sbagliate”, “oscurantiste”, “deliranti”, “pericolose”. L’attacco è su più fronti. E contro i “no-vax” sembrano ormai unirsi tutti quanti, gridando allo “scandalo” contro chi addirittura ha paragonato il green pass, la “tessera verde”, alla “stella gialla” che erano obbligati a indossare gli ebrei e che ora permetterebbe di riconoscere i non vaccinati.
Anche i costituzionalisti – il cui compito peraltro sarebbe quello di difendere le libertà individuali contro ogni abuso del potere – sono (quasi) tutti schierati a favore del green pass.
E qualcuno si permette pure di fare del sarcasmo: c’è chi, ad esempio, si è divertito a dire che chi critica l’“obbligo” del passaporto per entrare in alcuni luoghi pubblici usa la stessa logica di chi sostiene che l’obbligo di indossare il casco in moto sarebbe un “complotto” contro la libertà di avere il vento tra i capelli. No-vax = no-casc, insomma.
Ora, è interessante considerare l’idea che sta alla base di questa argomentazione, perché è il modo di ragionare comune di quanti attaccano i cosiddetti “no-vax”. L’idea è questa: il green pass limita certamente le mie libertà individuali (libertà di viaggiare, di andare al cinema, al ristorante, etc.), ma questa limitazione è giustificata dalla necessità di tutelare la libertà e i diritti degli altri – in particolare, il loro diritto alla salute. Sembrerebbe in effetti il vecchio adagio “liberale”: “la mia libertà finisce dove comincia la tua”. Per questo, secondo quanto si sostiene, il green pass non sarebbe diverso dalla limitazione che si è imposta circa la possibilità di fumare nei ristoranti, nei cinema, nelle scuole, in genere nei luoghi pubblici. È la posizione dell’ex ministro della Salute Sirchia, colui che ha introdotto in Italia il divieto di fumo in tutti i locali pubblici: «devi essere libero di non vaccinarti, ma io devo essere libero di impedirti di danneggiarmi e quindi di prendere misure cautelari nei tuoi confronti». È quella del direttore di MicroMega, secondo cui chi dice che il green pass è “discriminatorio”, allora dovrebbe dire che lo è anche il divieto di fumo, che ha “discriminato” i fumatori «ghettizzandoli sui marciapiedi e in molti paesi cacciandoli infine anche dai luoghi aperti».
Ritengo che questi argomenti siano totalmente fallaci. Cominciamo dal paragone con il divieto di fumare, anche se il discorso potrebbe essere esteso ad altri esempi. Certamente il divieto di fumo discrimina, peraltro, solo nel senso che limita la libertà di fumare in determinati luoghi. Sono meno libero se non posso fumare dove cavolo mi pare, ma è una limitazione giustificata dal fatto che il diritto alla salute, in questo caso, è ritenuto prevalere sul diritto a tenere un certo comportamento. Il punto è questo: ciò che viene vietato è un determinato comportamento, è una classe di azioni (nell’esempio che abbiamo fatto il fumare). Il divieto, cioè, non riguarda il “fumatore” in quanto tale, ma certi suoi specifici comportamenti – come il fumare in un luogo pubblico. Il green pass non risponde alla stessa logica. Solo un approccio del tutto “formalistico”, infatti, potrebbe interpretarlo come una serie di disposizioni che vietano determinate azioni – come il recarsi al ristorante, al cinema o in discoteca. Proprio perché queste “azioni” sono, in linea di principio, indeterminate, e posso giungere a riguardare, di fatto, l’intera vita sociale dell’individuo, questi divieti finiscono per rivolgersi al “non vaccinato” in quanto tale, per istituire, cioè, una separazione, una discriminazione relativa alle persone, e non ai loro comportamenti.
Una discriminazione tra chi è vaccinato e chi non lo è. Mentre, allora, il divieto di fumo discrimina – e cioè: prevede un trattamento diverso – in relazione a comportamenti permessi e comportamenti vietati, il green pass tratta diversamente non le azioni che le persone possono o non possono compiere, ma le persone stesse, escludendone alcune dalla vita sociale. Diciamo pure che non vogliamo, ora, sapere, se questa discriminazione sia o meno “giustificata”. Ma è ovvio che essa sia di natura completamente diversa rispetto al divieto di fumare o all’obbligo di indossare il casco in moto. Il passaporto vaccinale discrimina, infatti, non tra azioni, ma tra categorie di esseri umani. La sanzione non è legata ad una azione illecita, ma ad una caratteristica che un individuo deve possedere per essere parte integrante della società. Le critiche sprezzanti e il sarcasmo che abbiamo ricordato, allora, appaiono del tutto fuori luogo. E che i giuristi non prendano sul serio una legge che – giustificata o meno – introduce una discriminazione tra “classi” di persone, di cittadini, è un fatto eccezionalmente preoccupante per una democrazia.
Veniamo al secondo argomento, quello della “libertà”, a quello che ormai è diventato niente più che uno “slogan”: “la mia libertà finisce dove comincia la tua”. Ma cosa significa?
Dobbiamo distinguere. Nel ragionamento di chi attacca i “no vax”, la limitazione alla mia libertà viene giustificata essenzialmente sulla base dell’interesse generale, dell’interesse della collettività: la mia libertà di non vaccinarmi, il mio diritto di recarmi – da non vaccinato – al ristorante o al cinema, può essere legittimamente limitato in quanto esso rischia di pregiudicare l’interesse “comune”, l’interesse di tutti, di pregiudicare la “salute” collettiva. È questo interesse “di tutti”, la salute come interesse collettivo. Attenzione: qui non si tratta affatto, come spesso viene detto, di un “bilanciamento” tra il mio diritto alla circolazione e il tuo diritto alla salute, tra due diritti. Qui non c’è, rispetto a me, un altro individuo, ma la collettività. E la collettività, non ha “diritti”, ma interessi. Lo stesso art. 32 della Costituzione deve riconoscerlo: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Ora, quando si dice che il green pass fa prevalere la tutela della salute sulle libertà individuali, la “salute”, qui, è il bene inteso come interesse della collettività, e non come diritto del singolo. Questo per chiarire che il tema in oggetto è quello del rapporto tra diritti individuali e interesse collettivo.
Ora, questa logica non è affatto “liberale” – o, meglio: non è quella della linea del liberalismo politico classico, che comincia con Locke. È piuttosto una logica tipica delle “democrazie totalitarie”, alla Rousseau.
Perché, per Locke - come ricorda Rawls - la limitazione della libertà è giustificata solo quando è necessaria alla libertà stessa, cioè per prevenire una violazione della libertà che sarebbe ancora peggiore. Il discorso cambia, la logica è diversa: perché, per limitare la mia libertà, non basta un – indeterminato – “interesse generale”, ma occorre dimostrare che, se non la si limitasse, verrebbero meno le condizioni necessarie alla libertà stessa. La libertà può essere limitata solo in nome della libertà stessa. In concreto: per limitare la mia libertà di recarmi – da non vaccinato – al ristorante, si dovrebbe dimostrare che, in assenza di questa limitazione, chi invece è vaccinato non sarebbe più libero di recarsi al ristorante – diciamo pure perché rischierebbe di ammalarsi.
Siamo così in un nuovo ambito: non più libertà versus interesse, ma libertà individuale contro libertà individuale, sacrificio dell’una per garantire l’altra. Per questo un “liberale” potrebbe dire che al diritto dei non vaccinati che va tutelato corrisponde un diritto dei vaccinati che va altrettanto tutelato. Io, come vaccinato, non ho forse il diritto di sapere se il medico che mi cura o il mio prof sia o non sia vaccinato e nel caso non farmi curare da quel medico o non andare a lezione da quel professore?
Per poter rispondere, bisogna però cominciare con il chiedersi: perché il vaccinato non accetta il non vaccinato? Perché dovrebbe valere il suo ragionamento e non allora il ragionamento del bianco che dice io non voglio medici e insegnanti neri? Nel secondo caso, tutti saremmo disposti ad ammettere che si tratta di razzismo. Cosa cambia, allora? Su che cosa si fonda il ragionamento del vaccinato? La sua certo non è una discriminazione razziale. Eppure, bisogna pur chiederselo: perché non vuole il contatto con il non vaccinato?
Secondo i nostri liberali i no vax andrebbero segregati, perché loro, i liberali, hanno paura di essere infettati e questa paura è un loro diritto. È vietato odiare ma aver paura dovrebbe essere un diritto costituzionalmente garantito. Si potrebbe replicare che se è una persona è vaccinata, questa “paura” in realtà è del tutto irrazionale. Ancora una volta, il falso paragone con il divieto di fumo è istruttivo: se, infatti, è provato che il mio fumare in un locale chiuso danneggia la salute del mio vicino non fumatore, non è affatto dimostrato che il mio recarmi al ristorante da non vaccinato danneggi o rischi fortemente di danneggiare in modo significativo la salute del mio vicino. E infatti: (a) se il mio vicino è vaccinato, il suo rischio di ammalarsi dovrebbe essere pressoché inesistente, almeno stando al pensiero oggi dominante che considera i vaccini super sicuri; (b) se non è vaccinato, significa che, esattamente come me, accetta i rischi derivanti dal proprio comportamento.
Certo, si potrà sostenere: il rischio di “contagio”, però, rimane identico. La replica è semplice: è irragionevole e assurdo limitare la mia libertà per evitare il “contagio” in sé stesso considerato, indipendentemente, cioè, dall’idoneità del virus a sviluppare una malattia, cioè a dar luogo a problemi seri per la salute (perché, allora, non si vieta l’ingresso nei ristoranti a chi ha un forte raffreddore, o una influenza?). Nel merito, poi, si dovrà dire: non sarebbe comunque irragionevole e ingiustificato questo divieto, laddove esistano disposizioni - come l’obbligo di indossare le mascherine nei luoghi chiusi - che già assicurano, come per mesi è stato detto, la drastica riduzione dei rischi di trasmissione del virus? O invece dobbiamo concludere che la mascherina non serviva a niente?
Il “liberale” vaccinato potrebbe replicare che ha paura lo stesso: è persino disposta ad ammettere che si tratta di un sentimento irrazionale, ma la paura resta paura. E così sia. Ma allora: esiste forse un diritto alla paura? Insomma, la mia libertà finisce dove inizia la tua paranoia?
E questo diritto “liberale” alla paranoia è talmente forte da costringere i non vaccinati ad essere sanzionati, segregati e sospesi dal lavoro?
Siamo giunti al punto essenziale. Ed alla contraddizione fondamentale. Nonostante, infatti, la medicina, da una parte, affermi che, con il vaccino, i “rischi” per la salute sono di fatto talmente diminuiti al punto da far rischiare al contagiato vaccinato un raffreddore o un’influenza, essa, allo stesso tempo, accetta di venire incontro alle “paure”, ormai irrazionali e ingiustificate, dei vaccinati, che vogliono a tutti i costi tenersi lontani, tenere a distanza quanti hanno scelto di non fare il vaccino. Ma se il rischio, se tutto ciò di cui un vaccinato può aver paura è di prendersi un’influenza, come può questo rischio giustificare la perdita del lavoro, e l’esclusione dalla vita sociale dei noi vaccinati? Dovremmo allora escludere dalla vita sociale anche chiunque abbia il raffreddore o la tosse, chiunque abbia una influenza stagionale diversa dalla Covid. Insomma: liberi di circolare dovrebbero essere solo soggetti “sani”, tenendo però presente che sono tutti a rischi di essere malati. È questo il “mondo nuovo” verso cui stiamo andando? Verso una bio-sicurezza generalizzata, in cui l’obbligo di essere in salute diventerà permanente e capillare, tanto da impedire a chiunque abbia un raffreddore di entrare in un ristorante?
La paura è diventata un diritto – e questa è l’altra faccia, in fondo, del fatto che la salute è divenuta un obbligo. Oggi essa non serve più soltanto a creare allarmismo sul virus, ma persino a costringere in un ghetto i non vaccinati.
Non credo che – sulla base di ciò che la medicina, oggi, ci dice del virus, della sua trasmissione e dei vaccini – esistano argomenti in grado di legittimare l’introduzione di un green pass obbligatorio per tutti. Anche perché il nostro liberale non dovrebbe dimenticare che questi vaccini sono” imperfetti”, non solo non sono in grado di prevenire l’infezione, ma gli effetti collaterali sono tali che a volte possono persino provocare la morte del vaccinato.
Oggi non si muore più solo di Covid-19 ma anche del vaccino che dovrebbe prevenire questa malattia.

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