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Tomaso Montanari - La seconda di tre meditazioni

14 aprile 2020

Pasqua 2020/2. Venerdì Santo: il Dio scartato 

Con mia grande sorpresa, don Giuliano Zattarin (prete dalla parte dei poveri, a lungo missionario in Brasile e ora parroco a San Martino di Venezze, nel Polesine) mi ha chiesto di scrivere, per la sua comunità, tre meditazioni sul Triduo Pasquale. Non è possibile dire di no a don Giuliano: queste righe sono il tentativo di dirgli di sì, partendo da alcune delle parole della Scrittura che la liturgia del Triduo proclama. 

«Chi mi vede per strada mi sfugge / sono caduto in oblio come un morto / sono divenuto un rifiuto» (Salmo 31, 12-13) 

«Gli si diede sepoltura con gli empi / con il ricco fu il suo tumulo / sebbene non avesse commesso violenza / né vi fosse inganno sulla sua bocca» (Isaia 53, 9) 

«Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (Giovanni 19, 25-27). 

Gesù, nuovo Adamo: perfetta realizzazione dell’uomo fatto a somiglianza di Dio. 

Ma questa perfezione è raggiunta nella Passione, sulla Croce: «ed io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Giovanni 12, 32). Il paradosso (paradosso per il nostro umano buon senso) è che Gesù raggiunge pienamente la sua forma quando è sformato. Quando è sfigurato dal dolore fisico, schiantato dal peso morale delle ingiustizie subìte da ogni uomo di ogni tempo: ingiustizie che egli vede una per una, e prende su di sé. Nel Salmo profetico è Gesù stesso che parla: e parla con parole che oggi non ascolteremmo. Sono le parole di chi è rimasto fuori, di chi non ha voce, di chi non ha importanza. Di coloro che riteniamo – di fatto – meno che uomini, non-uomini. 

«Chi mi vede per strada mi sfugge»: un contagiato, un lebbroso, un pazzo, un deforme, un malato che fa ribrezzo. «Sono caduto in oblio come un morto»: come un uomo di cui ci dimentichiamo volentieri. Abbiamo dimenticato, come se fossero morti, quasi un miliardo di vivi: sono coloro che hanno fame, in tutto il mondo. In Italia i poveri sono 5 milioni: caduti nell’oblio, proprio come se non fossero più tra i vivi. «Sono divenuto un rifiuto»: ecco la parola chiave. Gesù è un rifiuto: un rifiutato, uno scartato, un non-scelto, uno buttato via. Un abitante delle favelas, un ragazzo delle periferie, una donna che subisce violenza, un precario, un vecchio senza pensione. «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Matteo 25, 40): in ognuno di questi rifiutati, rifiutiamo Gesù. 

Oggi, quanti Gesù vediamo nelle passioni della pandemia? Lo vediamo nei campi rom, dove le autorità hanno chiuso l’acqua pubblica proprio nel momento in cui lavarsi le mani è vitale. Lo vediamo in chi non può stare a casa: perché casa non ha. Lo vediamo nei rifiutati dalle rianimazioni: 

in America i poveri, i senza assicurazione. Nello Stato dell’Alabama, che ha deciso che i «disabili psichici sono candidati improbabili per il supporto alla respirazione»; in Tennessee, dove le persone colpite dalla atrofia muscolare spinale sono scartate; in Minnesota dove lo sono coloro che soffrono di cirrosi epatica, di malattie polmonari o di cuore. Nello stato di Washington in Maryland e Pennsylvania, dove non sarà salvato chi ha problemi mentali. «Sono divenuto un rifiuto». 

In Italia, lo sappiamo, la passione dei medici passa anche attraverso la costrizione a una scelta mostruosa: chi attaccare al respiratore, quando i posti non bastano? A diventare rifiuti sono i più anziani, i più malati. I più fragili, i più deboli: vittime di una ideologia del profitto privato e dello smontaggio scellerato dello Stato e del bene comune che, lungo i decenni, ha distrutto un sistema sanitario che era nato per attuare il diritto fondamentale alla salute individuale e collettiva affermato dalla nostra Costituzione. 

Gesù oggi è un carcerato: è il primo morto in carcere di coronavirus, a Bologna. È ognuno dei 55 bambini chiusi nelle nostre galere insieme a madri condannate: bambini a cui nessuna ora d’aria è concessa. Ma Gesù è anche quelle madri, disfatte da una pena insopportabile. Gesù è in ogni detenuto italiano: nel più colpevole, nel più meritevole di pena. «Chi mi vede per strada mi sfugge / Sono divenuto un rifiuto». Non è l’innocenza, la condizione: ma l’espulsione dal consorzio umano, l’essere scartato, rifiutato, abbandonato. Dimenticato: caduto nell’oblio come un morto. O come un carcerato italiano: nessuna rivolta, nessun numero di morti oggi ci scuote. Siamo preoccupati per noi, innocenti e liberi: chi può curarsi dei colpevoli, rinchiusi ad aspettare il loro destino? 

Gesù oggi è un migrante: a cui l’Italia ha chiuso ufficialmente i porti, il Mercoledì Santo, per il virus: vogliamo salvarci da soli. Ma salvarsi da soli è avarizia, ha scritto don Milani. 

Nella passione di Gesù si avvera la profezia dell’Uomo dei dolori del profeta Isaia: «Non ha apparenza né bellezza / per attirare i nostri sguardi, / non splendore per provare in lui diletto. / Disprezzato e reietto dagli uomini, / uomo dei dolori che ben conosce il patire, / come uno davanti al quale ci si copre la faccia, / era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. / Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, / si è addossato i nostri dolori / e noi lo giudicavamo castigato, / percosso da Dio e umiliato / ... Maltrattato, si lasciò umiliare / e non aprì la sua bocca; / era come agnello condotto al macello, /come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, / e non aprì la sua bocca. / Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; / chi si affligge per la sua sorte?». L’Uomo dei Dolori visto e cantato dal profeta Isaia è il giusto ucciso da un mondo ingiusto; il capro espiatorio che paga per tutti. Come un vecchio o un malato al tempo della peste: troppo debole per dedicargli le poche forze che abbiamo. 

E, aggiunge Isaia, «gli si diede sepoltura con gli empi / con il ricco fu il suo tumulo / sebbene non avesse commesso violenza / né vi fosse inganno sulla sua bocca». Gesù è crocifisso con due ladroni: fatto peccato Lui che era senza peccato, trattato da violenza Lui che era amore. Ma era quello il suo posto: è con loro che aveva sempre voluto stare: «sono venuto per i malati, non per i sani» (Matteo 9, 13). E infine è sepolto nella tomba del ricco Giuseppe di Arimatea. Deposto nel grembo della terra, in una tomba nuova, mai usata prima: ad avverare il segno della verginità di Maria. 

La struttura del versetto di Isaia è quella tipica dei Salmi. Gesù subisce l’infamia di essere considerato un violento, un sedizioso, un ladrone. E poi subisce l’infamia di essere equiparato a un ricco: cioè a uno che trama inganni, a un mentitore. Uno di quei figli delle tenebre ai quali Gesù si era rivolto con straordinaria durezza: «voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna» (Giovanni 8, 44). 

Il ricco non appartiene al Regno: «Gesù allora disse ai suoi discepoli: “In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”» (Matteo 23, 30). Se la salvezza eterna dei ricchi dipende da Dio – cui nulla è impossibile, come dice Gesù continuando questo celebre discorso –, il giudizio sui ricchi è chiaro e duro. L’inganno sulla bocca dei ricchi consiste nell’accaparramento dei beni comuni, nella sottrazione di quella ricchezza alla collettività. Per dirla ancora con Isaia (5,8): «Guai a quelli che aggiungono casa a casa, che uniscono campo a campo, finché non rimanga più spazio, e voi restiate soli ad abitare in mezzo al paese!». I ricchi sono dunque i potenti, coloro che opprimono il popolo. 

Spiegando questo brano, papa Francesco ha detto: «nella Bibbia spesso si parla dei potenti, dei re, degli uomini che stanno “in alto”, e anche della loro arroganza e dei loro soprusi. La ricchezza e il potere sono realtà che possono essere buone e utili al bene comune, se messe al servizio dei poveri e di tutti, con giustizia e carità. Ma quando, come troppo spesso avviene, vengono vissute come privilegio, con egoismo e prepotenza, si trasformano in strumenti di corruzione e morte». E ha citato il brano del primo Libro dei Re in cui «Acab re di Samaria ... disse a Nabot: “Cedimi la tua vigna; siccome è vicina alla mia casa, ne farei un orto. In cambio ti darò una vigna migliore oppure, se preferisci, te la pagherò in denaro al prezzo che vale”. Nabot rispose ad Acab: “Mi guardi il Signore dal cederti l’eredità dei miei padri”». A quel punto Acab fa uccidere Nabot, dopo averlo accusato ingiustamente: e si impossessa della vigna. 

Lontane storie dell’antico Israele, o sostanza della vita dei nostri giorni? Chi di noi non ha visto il terribile discorso di un ricco editore, che si compiace delle occasioni di guadagno che la pandemia gli ha offerto? Egli snocciola le cifre cospicue che grandi industriali gli stanno offrendo per fare pubblicità ai loro prodotti sul suo giornale e sulla sua televisione. Gli italiani chiusi in casa sono un’ideale platea di consumatori e clienti, ossessivamente attaccati a uno schermo, o a una pagina, con le ultime notizie sulla sorte che ci attende: quale migliore occasione per arricchirsi? Dov’è il progetto della Costituzione sull’impresa, legittima in quanto è di utilità sociale? «Ciò che specialmente fa paura – ha scritto Hermann Grimm già nel 1886 – nel moderno sistema è l’improvviso dirizzone verso il mostruoso: è proprio dei nostri nuovi tempi che quando ci sia realmente da guadagnare milioni in un batter d’occhio le condizioni mutino, e si passa ogni misura senza che, e anche questo è un segno del tempo, nessuno ci veda niente di straordinario o che apparisca anche possibile il porvi riparo”. 

Non è forse a questo che ci fanno pensare quegli industriali che corrono a pagare quelle inserzioni pubblicitarie, come producono i loro beni? Nelle scorse settimane molti padroni – chiamiamoli col loro nome – hanno gettato la maschera, cercando in ogni modo di non fermare attività essenziali solo per la ricchezza di chi le possiede: incuranti della salute dei lavoratori, considerati alla stregua di carne da cannone, e della salute dell’intera collettività. Oggi un lavoratore può contagiarsi, contagiare, ammalarsi e morire per andare a produrre armi, o a vendere chiamando da un call center. «Dagli spietati interessi salvaci, Signore» ha pregato Francesco nella piazza vuota: sono gli stessi interessi che hanno distrutto la sanità pubblica, fatto sparire i posti in rianimazione, distrutto il bene comune. 

Ecco l’inganno sulla bocca del ricco, che Isaia condanna. Ed è questa l’altra faccia della passione dei poveri di tutto il mondo e di tutti i tempi, che Gesù porta con se sulla croce: per ogni scartato, per ogni uomo ridotto a rifiuto, per ogni vivente i cui diritti sono dimenticarti e calpestati, c’è un altro uomo che diventa più ricco. 

Nel più antico canto rivoluzionario – il Magnificat di Maria – il Signore viene esaltato per aver «abbattuto i potenti dai troni» e per aver «esaltato gli umili», per aver «rimandato i ricchi a mani vuote» e aver «saziato gli affamati». Come ha scritto il teologo Clodovis Boff: «Lì la Vergine vede le 

contraddizioni sociali, sa che nel mondo esistono potenti e oppressi, ricchi e affamati e denuncia la situazione, pone cioè a nudo gli antagonismi politici ed economici, dice la “verità” sociale, perché dalla verità soltanto può nascere la libertà. Non è quindi una denuncia che provoca il conflitto, ma essa riconosce che il conflitto è già in atto. Maria si presenta come una donna che ha coscienza critica, la prima che nella Chiesa mostra questa coscienza profetica. Maria vede la storia come un processo dinamico aperto in avanti, defatalizzato, proclama cioè che il corso della storia può cambiare. Parla infatti del rovesciamento dei potenti e della riabilitazione degli uomini, degli affamati ricolmati e dei ricchi svuotati, non però un cambiamento nel senso di una vendetta attuata nella violenza, ma bensì mediante la trasformazione delle situazioni globali. Il Dio di Maria, il Dio biblico, è un Dio rivoluzionario che sorprende con il suo atteggiamento travolgente nella storia. L’idea di sconvolgimento o capovolgimento delle situazioni inique appartiene al concetto del Dio rivelato. Pur non esplicitando il progetto storico di una società come Dio la vuole, Maria ci pone sulla direzione di un mondo senza oppressione e senza fame in una società di libertà e di giustizia». 

«Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa». Morendo sulla croce, Gesù lascia a Giovanni, e attraverso di lui, all’umanità lo sguardo rivoluzionario di Maria. 

Scartato e rifiutato fino alla morte più infame, egli sceglie di essere per sempre accanto agli scartati, dalla parte dei rifiutati. Per questo ha abbattuto i potenti, ha rimandato i ricchi a mani vuote. E noi, noi da che parte stiamo? Sotto quella croce, quale sguardo accogliamo? 

È questa la domanda che rimane sospesa, nel silenzio di questa notte, di questa tomba. 

In attesa che le tenebre, finalmente, si diradino. Amen. 

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