Diario della crisi

È possibile trovare le parole per esprimere lo smarrimento che proviamo, in questa sospensione del tempo attraversata da vertiginosi cambiamenti? Per dare voce all'esperienza della separazione dai nostri prossimi, che pure ci accomuna a tutti gli abitanti del pianeta? Per restituire le domande che ci poniamo, immersi in una sfera cognitiva dissonante, con la sensazione che ci sveglieremo da questo incubo in un mondo trasformato e da trasformare? Proviamo a trovare insieme queste parole.

Francesco Fronterotta - La Politica e i tecnici

1 aprile 2020

 Nel Protagora, Platone racconta l’incontro fra il grande sofista, giunto ad Atene fra gli entusiastici clamori dei suoi ammiratori, e un Socrate che, piuttosto scettico, si reca ad ascoltarlo, apparentemente per apprendere i suoi insegnamenti, in realtà per metterne alla prova l’effettiva competenza. Nella sezione del dialogo che va all’incirca da 319 a 328, che qui ci interessa, Socrate rivolge al sofista la richiesta di sapere su cosa esattamente verta il suo insegnamento e riceve in risposta l’affermazione secondo cui Protagora è in grado di istruire chi lo frequenta nella buona gestione degli affari domestici e dell’intera città, in altre parole nientemeno che sulla politica tout court

 A questo punto, Socrate oppone alla pretesa didattica del sofista un efficace argomento fattuale. Gli Ateniesi, cui si riconoscono unanimemente saggezza politica e buone istituzioni, quando si riuniscono in assemblea per affrontare questioni specifiche, si dispongono ad ascoltare chi in esse sia esperto, ossia chi possieda una competenza tecnica particolare appropriata per la questione in esame: ascolteranno dunque un architetto, se si tratta di costruire un edificio pubblico, un provetto fabbricante di navi, se si tratta di costruire navi, o, per completare la sequenza con un esempio più vicino alle nostre preoccupazioni attuali, un medico, se si tratta di affrontare un contagio; mentre respingeranno con disprezzo e proteste chi, pur provvisto di altre qualità, pretenda di intervenire su simili decisioni senza averne l’opportuna competenza. Ma se bisogna invece discutere di problemi di interesse generale della città e della sua direzione, cioè di politica in senso generale, si ammette che partecipino al processo decisionale tutti i cittadini, indipendentemente dal loro censo, dalla loro classe sociale e dalla loro competenza specifica: il falegname, il fabbro, il calzolaio, il commerciante e l’armatore, il ricco e il povero, il nobile e il plebeo. Se ne deve dedurre, secondo Socrate, che gli Ateniesi non giudicano insegnabili la scienza e la virtù politiche, perché ritengono che esse non costituiscano il contenuto di una disciplina o di una tecnica particolari come le altre, nelle quali esistono dei competenti specifici, ma come un patrimonio condiviso e onnidiffuso fra tutti i cittadini. 

All’obiezione di Socrate Protagora replica attraverso l’esposizione di un celebre mito. Quando gli dei provvidero alla generazione delle specie viventi mortali, affidarono a due di loro, Prometeo ed Epimeteo, il compito di distribuire fra di esse le capacità e competenze necessarie alla vita. Epimeteo iniziò la distribuzione e procedette con troppa fretta e scarso giudizio, esaurendo i suoi doni fra gli animali privi di ragione e prima di giungere a completare la sua opera con il genere umano, che rimase così sprovvisto di alcunché. Per rimediare a questo assurdo esito, Prometeo escogitò uno stratagemma: sottrasse a Efesto e Atena, per farne dono agli uomini, la sapienza tecnica e il fuoco, l’uno come strumento per migliorare la propria condizione, l’altra come sapere indispensabile a un corretto impiego del primo. In virtù di ciò l’uomo divenne, fra tutti i viventi, l’unico in certa misura apparentato alla divinità e, di conseguenza, apprese a credere in essa e a intraprenderne il culto e, di seguito, poté soddisfare, grazie alla tecnica ricevuta, tutte le esigenze essenziali per la sopravvivenza. E tuttavia gli uomini vivevano comunque dispersi e isolati gli uni dagli altri, poiché non disponevano del sapere politico che istituisce e regge una vita comunitaria e pertanto finivano annientati dalle belve feroci; e pur talvolta riunendosi in gruppi, essendo digiuni di giustizia e di competenze politiche, non riuscivano a evitare violenza e sopraffazione reciproche, così ben presto distruggendo ogni aggregazione sociale. Per evitare la totale cancellazione del genere umano, Zeus inviò Ermes fra gli uomini, che attribuisse loro “rispetto” e “giustizia”, precisando inoltre che queste virtù, concepite come basi del sapere politico, andavano distribuite fra tutti, per far sì che vedessero la luce le città e le loro istituzioni, e in modo che chi ne fosse sprovvisto finisse bandito dal genere umano.

Hanno quindi ragione gli Ateniesi, conclude Protagora concordando con Socrate su questo punto, a consentire a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro condizione sociale e dalla loro competenza specifica, di intervenire in assemblea sulle questioni di interesse generale, appunto perché a tutti indistintamente appartengono, come insegna il mito, le necessarie attitudini politiche; ma Socrate ha torto rispetto alle conseguenze che trae da una simile conclusione, perché tali attitudini politiche sussistono forse in nuce negli uomini, ma vanno coltivate attraverso l’educazione e l’esercizio, come dimostra il fatto che chi agisce senza “rispetto” e “giustizia” viene considerato degno di punizione dalla città, ciò che non sarebbe ragionevole se si trattasse di doti semplicemente naturali (per le quali non avrebbe senso stabilire premi o punizioni), e non compiutamente realizzate tramite l’educazione e la pratica, di cui appunto Protagora si proclama maestro.

Non interessa qui andare oltre nella ricostruzione e nell’esame della prospettiva propriamente platonica sul tema dell’insegnabilità della scienza e della virtù politiche, che rappresenta, come è noto, uno degli snodi teorici fondamentali della riflessione del Platone maturo (particolarmente dalla Repubblica al Politico e fino alle Leggi); conviene piuttosto soffermarci, per i nostri scopi attuali, su un diverso aspetto, rispetto al quale le posizioni difese da Socrate e da Protagora appaiono sostanzialmente convergenti: si constata infatti che, per entrambi, l’approvazione dell’uso assembleare ateniese di prestare ascolto esclusivamente ai competenti su questioni specifiche particolari, ma di concedere la parola a tutti i cittadini sugli affari della città, implica un’essenziale distinzione di piano fra le singole tecniche, che appunto richiedono degli specialisti appositamente formati che occorre interrogare e seguire in merito a problemi che ricadono nelle loro competenze, e la politica, la quale invece – che discenda da un’attitudine innata negli uomini e, secondo il mito, divina oppure che consista nell’acquisizione di un sapere superiore rispetto a quelli particolari (come certamente crede Platone, benché la cosa non sia esplicitata nel Protagora) – manifesta una dimensione universale che trascende la particolarità delle tecniche e del loro campo di applicazione strettamente disciplinare. La dimensione universale della politica, di contro agli ambiti speciali delle tecniche, si caratterizza in almeno due modi diversi: essa mira progettualmente all’intero del corpo sociale e istituzionale della città e dello stato e, per ciò stesso, deve essere fondata su un sapere per definizione generale e sinottico. L’assenza di questi requisiti conduce necessariamente all’abdicazione della politica stessa e, di conseguenza, alla rinuncia a una visione d’insieme della città e dello stato, che nessuna tecnica particolare può di per sé colmare. Mutatis mutandis, le tecniche e i loro esperti sono certo indispensabili per affrontare problemi specifici e particolari, diremmo anche “settoriali”, ma soltanto la politica comporta e propone una visione complessiva, facendosi portatrice di un progetto comprensivo e integrale di comunità e di società. 

Non si contestino dunque i tecnici sui temi di loro competenza (semmai si applichino alle loro indicazioni le ovvie procedure di verifica), ma non ci si aspetti né si chieda loro un progetto di società. Simmetricamente, non si chieda alla politica di risolvere problemi tecnici, ma si esiga da essa un’idea generale che, senza naturalmente prescindere dall’evidenza dei dati tecnici, di essi si serva per delineare il futuro. Soprattutto in tempi di crisi.

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