Diario della crisi

È possibile trovare le parole per esprimere lo smarrimento che proviamo, in questa sospensione del tempo attraversata da vertiginosi cambiamenti? Per dare voce all'esperienza della separazione dai nostri prossimi, che pure ci accomuna a tutti gli abitanti del pianeta? Per restituire le domande che ci poniamo, immersi in una sfera cognitiva dissonante, con la sensazione che ci sveglieremo da questo incubo in un mondo trasformato e da trasformare? Proviamo a trovare insieme queste parole.

Moira De Iaco - L’immagine del portale

23 aprile 2020

 

L’istituto machineVantage di Berkeley, leader nello studio dell’intelligenza artificiale, specializzato nell’estrazione di metafore profondamente connesse al nostro inconscio, ha sperimentato un modello comunicativo efficace per affrontare la crisi sanitaria globale provocata dal Coronavirus. Combinando sistemi di intelligenza artificiale e d’apprendimento con avanzate conoscenze neuroscientifiche, la ricerca condotta presso questo istituto ha individuato la “Gateway Metaphor”, la metafora del portale, della porta d’accesso, come la metafora più significativa e vantaggiosa da usare per parlare del Coronavirus. Tale metafora incorporerebbe due concetti principali: “la salute è una via d’accesso” a una vita migliore e alle cose che contano e “le vie d’accesso alla salute” sono passaggi che consentono la salute e preservano il nostro stare in salute. 

Passaggi, porte, vie d’accesso e d’uscita fanno parte del catalogo delle immagini con cui, forse davvero in modo piuttosto inconscio, stiamo concettualizzando i nostri modi di vivere e pensare l’emergenza sanitaria. Da quando siamo stati travolti dalla pandemia, stiamo tentando di chiudere al virus le porte d’accesso al nostro spazio corporeo, familiare, sociale. È necessario chiudere al virus il passaggio da una persona a un’altra attraverso il distanziamento sociale, attraverso ingressi contingentati in spazi chiusi come supermercati e farmacie, nonché attraverso la limitazione delle nostre uscite da casa ai soli bisogni indispensabili e improrogabili e il divieto di uscire dal proprio comune di residenza se non per esigenze lavorative, attraverso la protezione delle porte del nostro corpo, naso e bocca, potenziali vie d’accesso al virus o vie d’uscita del virus. Le restrizioni d’accesso sono ormai ovunque intorno a noi. Non a caso evochiamo spesso una via d’uscita dall’emergenza, auspichiamo che si possa uscire presto dalla situazione in cui ci troviamo.  

Il pericolo del contagio ha comportato una chiusura dei confini nazionali, regionali, perfino di quelli dei paesi, una chiusura degli spazi lavorativi e di quelli sociali; ci ha costretti a una chiusura all’interno delle nostre case. Tutto ciò ci ha permesso di strutturare una verità inconscia, spesso rimossa nelle visioni politico-economiche delle società contemporanee: la salute è il nostro passaporto per vivere. Ciò che ci permette di stare bene, i servizi a cui ricorriamo per mantenerci in salute o per tornare in salute, le azioni che compiamo per essere sani, sono tutte strade, percorsi, passaggi per la vita: la salute è la porta principale attraverso cui dobbiamo passare per vivere. L’immagine della salute come porta della vita ci mostra tutta la potenza inalienabile del diritto alla salute. Ci permette di vedere che tutte le strade devono condurre alla salute intesa come la strada principale della vita. Qualsiasi percorso produttivo, economico, formativo, sociale, familiare, personale, si dipana dal passaggio principale per la salute.

La storia ci insegna che le pandemie possono essere delle cesure, nella misura in cui chiudono vecchi scenari di vita e ne aprono nuovi. In tal senso della pandemia di Coronavirus si è parlato anche nei termini di un portale attraverso il quale passare a un mondo nuovo, un mondo trasformato. La parola “portale” evoca un passaggio magico, è un’immagine carica di incanto, che sembra rivestire di speranza quel sentimento tragico che caratterizza l’attualità che stiamo vivendo, fatta di morte, distanze affettive, stop produttivi, recessione economica, limitazione delle libertà, disoccupazione, inasprimento dei disagi psichici e sociali. È una parola che, nel senso metaforico con cui viene associata al Coronavirus, sembra offrirci la possibilità di strutturare il futuro, di pensare a diverse trasformazioni positive del passato da cui veniamo e del presente in cui siamo piombati. Trascinandoci nella tentazione dello stupore dell’ignoto e dell’imprevedibile, l’immagine del portale può disporre al cambiamento con un’ansia positiva verso le possibilità che il portale può dischiudere. L’immagine del Coronavirus come un portale ci proietta al futuro, verso ciò che sta oltre quello che stiamo vivendo: ciò che stiamo cominciando a ripensare e ristrutturare mentre compiamo questo cammino, ciò che troveremo una volta attraversato il portale, alla fine della strada tortuosa che stiamo percorrendo, una strada piena di difficoltà e di repentini cambi di percorso. 

Il portale, nel linguaggio informatico a noi familiare, è un sito nel quale è possibile impostare una ricerca, ottenere conoscenza, usufruire di servizi, raccogliere informazioni, aprire collegamenti ad altri siti a esso connessi in grado di ampliare le possibilità d’accesso a strumenti in grado di soddisfare le nostre necessità. Non è dunque qualcosa di predisposto che semplicemente ci troviamo davanti, ci offre la possibilità di scegliere, di costruire percorsi personalizzati. La sua magia sta proprio in questo, nell’offrire al nostro pensiero la possibilità di strutturare quello che riteniamo importante, quello che scegliamo come indispensabile, quello che non siamo disposti a sacrificare.  

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