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ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI

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Marc Fumaroli
della Académie Française

Un punto di vista elevato per fare l’Europa

Nella storia degli alti studi in Europa, l’Università, una delle creazioni più originali del Medio Evo, costituisce il capitolo centrale e maggiore. Oggi più che mai, a dispetto delle evoluzioni e rivoluzioni, l’Università resta l’istituzione madre e la forza portante della ricerca e della trasmissione del sapere.
Forte delle sue tradizioni secolari, del suo immenso prestigio spirituale, l’Università di Parigi, decidendo di conferire all’avvocato Gerardo Marotta, presidente e fondatore dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici la laurea honoris causa, fa un gesto di consacrazione il cui significato simbolico merita di essere meditato.
Questo gesto è tanto più carico di significato, in quanto non è un gesto scontato. L’Istituto, che l’Università di Parigi onora, è un’iniziativa privata e il suo presidente-fondatore, al quale essa conferisce gli allori, esercita una libera professione.
L’Università francese ha spesso mostrato diffidenza – bisogna riconoscere, con ragione – verso qualsiasi confusione tra la sua vocazione disinteressata all’insegnamento e alla ricerca e il “mondo” degl’interessi privati. Ma questa sana prudenza, tanto più giustificata oggi che la moderna economia di mercato tende a sottomettere la scuola stessa al suo modello pubblicitario e consumistico, non impedisce di far le necessarie distinzioni. La “società civile”, fortunatamente, non si riduce, nemmeno oggi, agli affaristi e ai pubblicitari.
Gli onori che l’Università di Parigi ha deciso di tributare all’avvocato Marotta riconoscono e fanno sapere che, anche nella sfera delle attività private, il desiderio disinteressato di sapere e la passione messa al suo servizio possono manifestarsi più generosamente all’esterno dell’Università che intra muros. È quindi nel miglior interesse dell’Università il distinguere tali alleati extra muros e celebrarli tanto più degnamente, in quanto essi propongono un raro esempio, pongono criteri rigorosi e fanno da contrappeso alla folla dei falsi amici.
In altre epoche della storia degli alti studi, quando le pressioni del “mondo” pubblicitario e commerciale erano sconosciute, è accaduto che l’Università, per un geloso eccesso di “spirito di corpo”, abbia combattuto i suoi migliori alleati extra muros. Ciò non avveniva per una sana diffidenza contro i corruttori, ma come riflesso dell’egoismo e della pigrizia spirituale contro gl’innovatori geniali che potessero turbare la routine e i privilegi del mondo accademico.
L’Alma Mater parigina, nel corso della sua lunga storia, non è stata esente da queste chiusure di casta. Spesso nel passato ha guardato con occhio severo ed anche geloso gli “avventurieri” – potevano anche chiamarsi Guillaume Budé o Ignazio di Loyola – responsabili di creare i Collèges, l’esistenza dei quali rappresentava per essa un attentato ai suoi privilegi e una pericolosa concorrenza. Fu necessaria l’autorità del Re di Francia per imporre e poi proteggere nel XVI secolo il Collegio dei Lettori reali e per moltiplicare nel XVII secolo i segni in favore del Collegio di Clermont, al quale Luigi XIV permise di portare il suo nome, affinché queste due “accademie” di alti studi potessero sopravvivere ai processi intentati contro di loro dall’Università di Parigi.
Il tempo ha mostrato che quei sospetti erano i sintomi di una sclerosi, piuttosto che indizi di prudenza. Gli alti studi, francesi ed europei, hanno largamente beneficiato della moltiplicazione, attorno o ai margini dell’Università, dei centri di sapere. Pierre Ramus, Jean Dorat, Pierre Gassendi hanno ricevuto dal Collegio reale un’autorità e una rinomanza che servirono il progresso dello spirito. Descartes, Voltaire e Diderot appresero nei Collegi dei Gesuiti francesi una disciplina enciclopedica che diede il primo impulso al loro genio. Descartes sognò persino e a lungo, per riparare all’esaurirsi della filosofia universitaria, di “convertire” al suo metodo l’insegnamento dei Collegi gesuiti, che gli apparivano più aperti e più vivi.
Fu comunque attraverso vie più indirette, ma ugualmente private, che la filosofia cartesiana s’impose. La scienza e l’insegnamento universitario stessi, in Francia e altrove in Europa, finirono per considerare Descartes, Voltaire e Diderot come dei “classici”, e la loro opera, dopo aver a lungo vagato per vie impervie, è entrata a far parte del patrimonio universale delle scuole.
Lo spirito europeo non può chiudersi in alcuna istituzione, nemmeno in quelle più stabili e gloriose: questo spirito soffia dove vuole. L’Università, l’istituzione dello spirito per eccellenza, ha, oggi come un tempo, tutto da guadagnare, nel lungo termine, dal fiorire delle scuole, degl’istituti, dei collegi, dei centri privati di ricerca e di incontri “liberi” che non possono né pretendono di sostituirla, ma che lavorano nella stessa via e servono la sua finalità ultima: la crescita dello spirito.
Questo rigoglio d’istituzioni è in realtà una barriera alle due minacce mortali che pesano sulla libertà e creatività dell’Università moderna: l’efficientismo al servizio di interessi economici e sociologici miopi e la burocratizzazione, che, in fondo, lavora anch’essa per soffocare. È costato caro all’Università dell’Ancien Régime il non saper riconoscere i suoi veri alleati extra muros. Costerebbe ancor più all’Università moderna, molto più esposta della sua vecchia antenata, il non rendere giustizia alle iniziative private, quando esse sono, come l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, di generosa ispirazione. Contro corrente rispetto al torrente dell’epoca, questi alleati “esterni” sono i soli capaci di creare attorno all’Università un ambiente contemporaneamente favorevole, protetto e fertile. Bisogna dunque rallegrarsi senza riserve per il fatto che l’Università di Parigi mette al rango dei suoi pari l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici conferendo il titolo di dottore honoris causa al suo presidente-fondatore.
L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici è stato fondato nel 1975 sotto gli auspici dell’Accademia dei Lincei, secondo un’ispirazione che risale al XVII secolo. A Roma, nel 1603, il giovane principe Federico Cesi creò, di sua iniziativa, un’Accademia enciclopedica di cui Galileo, Cassiano dal Pozzo, il mecenate di Nicolas Poussin, furono membri. La maggioranza dei professori dello Studio di quella Roma di un tempo sono stati dimenticati. Ma la breve e folgorante avventura dei “Lynx” (che terminò nel 1631 con la morte del principe Cesi) ha lasciato un solco profondo e fertile nella storia dello spirito europeo.
A quest’ispirazione venuta dal XVII secolo italiano ed europeo, l’avvocato Gerardo Marotta ha aggiunto un impegno personale, meditato durante i trent’anni in cui aveva costituito la sua magnifica biblioteca filosofica, donata poi all’Istituto: era animato da un sacro fuoco affinché Napoli, la sua città, si potesse riappropriare del suo passato di capitale dello spirito, affinché scaturissero di nuovo i Lumi. La città di Vico e di Galiani, dei fratelli Spaventa e di Croce – così decise – avrebbe avuto un organismo libero d’insegnamento e ricerca, capace di cooperare da pari a pari con gl’istituti europei e americani più rinomati e prestigiosi: il Warburg Institute, il Collège de France, l’Istituto Max Planck, l’Institute for Advanced Study di Princeton, la Fondazione Cini. Luogo d’incontro per gli studiosi, scuola di perfezionamento, centro di ricerca ed officina editoriale: l’Istituto concepì fin dall’inizio progetti molto ambiziosi. Ma proprio quest’ambizione mobilitò le buone volontà a Napoli, sedusse e convinse i migliori spiriti in Italia e all’estero. L’intellighenzia moderna, volentieri melanconica, ha nostalgia dell’energia: essa comprese immediatamente che un’ardente energia l’attendeva a Napoli.
La figlia di Benedetto Croce, Elena, essa stessa brillante scrittrice, una delle figure più luminose fra gl’intellettuali italiani del dopoguerra, sostenne immediatamente l’iniziativa dell’avvocato Marotta. Non vide nessuna concorrenza con l’Istituto Croce, che aveva sede a Napoli nella casa del padre, dove borsisti e cittadini frequentano la biblioteca del grande filosofo scomparso.
Dotato di un comitato scientifico di cui fanno parte personalità universitarie di grande prestigio internazionale, il nuovo Istituto, così come il Collège de France o l’Institute for Social Thought di Chicago, non conferisce diplomi. I borsisti che seguono le numerose conferenze e i seminari organizzati dall’Istituto, nello splendido Palazzo Serra di Cassano, ancora carico dei ricordi della Rivoluzione napoletana del 1799 e della sua sanguinosa repressione, sono quasi tutti ricercatori e dottorandi delle università italiane o europee. La maggior parte dei professori e dei ricercatori delle varie discipline, scientifiche o umanistiche, che l’Istituto invita a insegnare e a pubblicare proviene proprio dall’Università. Nei libri, nelle collane editoriali e nelle riviste pubblicate con il sostegno dell’Istituto essi trovano l’occasione per far conoscere il loro lavoro nelle Università italiane ed europee.
Significa questo forse che un Istituto come quello di Napoli sia il doppione di qualcosa che già esiste? A che può servire, quando Napoli conta più di un’Università e quando nell’Europa d’oggi gli scambi dei professori e studenti, gl’inviti e le borse di studio formano una rete di comunicazione pedagogica e scientifica pressoché capillare? Questa domanda – non importa se ingenua o malevola – ha il merito di porre un problema più generale, che suscita vivo interesse nello storico e nel sociologo attento alle questioni dello spirito. C’è una ragione per cui l’Università, da sola, e nonostante il carattere portante che nessuno nega, non è in grado di comprendere tutta la vita dello spirito? Qual è il motivo per cui l’Università ha avuto un tempo ed oggi più che mai ha bisogno di coadiutori più agili, di pensiero e stile anche molto diversi? Il fatto è che questi elementi aggiunti possono essere insieme un vivaio, un terreno di coltura e una zona di scambio.
Bisognerebbe fare un inventario delle varie associazioni che promuovono la cooperazione culturale: pur esercitando esse stesse una funzione pedagogica, sono soprattutto, per i loro promotori e i loro beneficiari, ambienti di lavoro comune tra maestri e studenti già informati alle loro discipline, occasioni d’incontro tra i maestri stessi e nodi d’interscambio tra il mondo del sapere e il grande pubblico.
Ho ricordato il Collège Royal e il Collège de Clermont in quella Parigi del XVII secolo che non avrebbe mai esercitato un magistero dello spirito così universalmente riconosciuto se avesse potuto contare sul solo Quartier Latino. Bisognerebbe anche ricordare i cercles savants che si sono in quell’epoca moltiplicati nelle biblioteche e nelle case private, e che hanno creato a Parigi un campo magnetico di eccezionale intensità. Ciò che si osserva allora a Parigi è la costituzione di una République des Lettres che ha bisogno, per dar corpo ad una società degli spiriti, non solo del ceppo dell’Università ma dell’apporto differenziato di organismi minori, più mobili e più vivaci, come l’Euforione del secondo Faust.
Il Rinascimento italiano è stato vivificato da cenacoli privati dove, al margine degli Studia pubblici, alcuni studiosi, riuniti dalle loro affinità e secondo lo stile delle loro ricerche, esploravano insieme le nuove strade degli studia humanitatis, creando da sé gli strumenti di lavoro, le biblioteche e le raccolte tematiche, e dotandosi di una notevole rete di comunicazione tra città e città, attraverso lo scambio epistolare, o i viaggi. Il circolo di Coluccio Salutati, l’Accademia platonica di Marsilio Ficino, l’Accademia filellena di Aldo Manuzio nel XV secolo, l’Accademia di Vitruvio a Roma, il circolo di Gian Vincenzo Pinelli a Padova nel XVI secolo, l’Accademia di Federico Cesi a Roma nel XVII secolo, sono stati i centri nervosi dell’intellighenzia italiana: la loro forza vitale ha animato tutto il corpo della società europea dell’ingegno.
Questi circoli di dotti non avrebbero potuto formarsi, né operare con tanta creatività, se non avessero potuto, direttamente o indirettamente, appoggiarsi alle Università: lo Studio di Firenze e quello di Padova, soprattutto – con i loro professori, il loro insegnamento e tutto ciò che se n’irradiava – erano il tronco comune sul quale questi centri di intelligenza e di sapere s’innestavano. Ma, inversamente, senza l’apporto di questi organismi sensibili e curiosi, i corpi universitari, più lenti e inerti, non avrebbero potuto manifestare quell’ardita inventiva e quella loro vitalità. La Repubblica delle Lettere, allora e più ancora oggi, ha bisogno di numerosi quartieri generali, di dimensione, ispirazione e orientamento diversi, ma che tutti concorrano, come voleva Francesco Bacone, ad augmentandas et promovendas scientias.
L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici dimostra, attraverso i suoi frutti, di non aver deluso la promessa delle sue origini. Il ritmo, il numero, l’estensione geografica delle sue attività e delle sue pubblicazioni lo hanno fatto conoscere nel mondo intero. Questa cornucopia ha fortemente contribuito, nella stessa Napoli, al risveglio della coscienza civile collettiva, comportando una metamorfosi, sotto i nostri occhi e in pochi anni, della grande capitale del Sud italiano.
Nel cuore di quest’attività, che alcuni definiscono pantagruelica, il sacro fuoco e la preveggenza dell’avvocato Marotta, contagiosi per le giovani generazioni, sono un principio veramente vulcanico. Raramente l’unione della contemplazione e dell’azione, della generosità eroica e dell’ingegnosità pratica, della fede umana e dell’impegno civile, si sarà incarnata con tanto vigore e prospera fortuna. Bisogna aver subìto, ed io posso esserne sincero testimone, l’incantesimo di quest’uomo fragile, dallo sguardo di fanciullo e della sua parola fervente, per comprendere quale contrafforte, nella persona di Gerardo Marotta e della sua opera, Napoli ha saputo far sorgere dalle sue viscere per contrastare il nichilismo moderno.

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