Diario della crisi

È possibile trovare le parole per esprimere lo smarrimento che proviamo, in questa sospensione del tempo attraversata da vertiginosi cambiamenti? Per dare voce all'esperienza della separazione dai nostri prossimi, che pure ci accomuna a tutti gli abitanti del pianeta? Per restituire le domande che ci poniamo, immersi in una sfera cognitiva dissonante, con la sensazione che ci sveglieremo da questo incubo in un mondo trasformato e da trasformare? Proviamo a trovare insieme queste parole.

Davide Susanetti - "Katéchon o Gelassenheit": un commento a margine del post di Cacciari e Agamben

27 luglio 2021

Katéchon o Gelassenheit: un commento a margine del post di Cacciari e Agamben

 

In un recente post (a proposito del decreto sul “Green Pass”), Cacciari e Agamben ci invitano a riflettere, come altre volte efficacemente hanno fatto in questo ultimo anno e mezzo, sulle torsioni e sui nodi contraddittori della crisi che stiamo vivendo. In questa, come in precedenti occasioni, gli spunti che essi ci offrono non hanno, in sé, difficoltà nell’essere condivisi. Ma rispetto a tutto ciò che ci circonda, forse potremmo anche condividere una domanda più radicale. Le parole, le considerazioni e le immagini che siamo andati formulando di fronte alle difficoltà del presente dalle restrizioni della libertà e del movimento ai modi mutati delle relazioni e dei corpi a quale orizzonte di pensiero e visione del mondo propriamente appartengono? E in quale tempo e temporalità si inscrivono? Gli schemi, le pratiche e gli assi valoriali con cui stiamo “reagendo” e “agendo” modelli in cui, appunto, senza troppo difficoltà, ci riconosciamo e aderiamo non sono, per alcuni versi, i medesimi che, come da tempo sappiamo, rappresentano un mondo e una soggettività portati a termini e finiti? Ce l’hanno detto e forse anche l’abbiamo detto, con svariate inflessioni, che l’uomo è un’invenzione recente dalla fine prossima e probabile. Il ponte, l’oltrepassamento, ciò che deve venire….Sappiamo del pari a quali problematicità destinali è stato sottoposto l'humanismus a partire dalla Lettera di Heidegger. Ma reagiamo come se non sapessimo, come se fossimo altri dal pensiero che altrimenti talora ci attraversa, come se abitassimo contemporaneamente tempi e luoghi differenti. Certo c’è la carne che si ribella e c’è l’istinto di conservazione, e vogliamo parlare con le persone e averle dinanzi a noi e sfiorarne i corpi, ed essere “individui liberi”. Ma tutto ciò non riguarda, in alcun modo, il Seyn, o lo riguarda nostro malgrado, a prescindere da noi. Ogni forma sorge, si stabilizza e infine decade per aver cessato la sua funzione. È tempo di katéchon o di Gelassenheit?

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