Diario della crisi

È possibile trovare le parole per esprimere lo smarrimento che proviamo, in questa sospensione del tempo attraversata da vertiginosi cambiamenti? Per dare voce all'esperienza della separazione dai nostri prossimi, che pure ci accomuna a tutti gli abitanti del pianeta? Per restituire le domande che ci poniamo, immersi in una sfera cognitiva dissonante, con la sensazione che ci sveglieremo da questo incubo in un mondo trasformato e da trasformare? Proviamo a trovare insieme queste parole.

Giorgio Erle - La crisi, la concordia e la dimora

17 luglio 2020

 

Vorrei proporre alcune considerazioni di carattere generale sul significato della “crisi”, per poi arrivare, alla luce di queste, a riflettere su alcuni aspetti della crisi che abbiamo vissuto e stiamo vivendo in questo 2020.

Dunque, viviamo un tempo faticoso, impegnativo, difficile; e la crisi è certamente il momento della difficoltà, ma è anche quello dell’esercizio della capacità di giudizio. Se dal punto di vista teoretico questo significa saper riconoscere il caso particolare all’interno dell’universale, nel valore di principio di quest’ultimo, dal punto di vista pratico il giudizio diventa capacità di orientare al bene e di scegliere secondo saggezza, proprio nel momento della difficoltà, come quando ci si trova sul “crinale” della crisi. Nella visione del rapporto tra universale e particolare, l’essere umano stesso si fa protagonista di relazione e di mediazione: a condizione che sia capace di operare secondo saggezza, ci avrebbero ricordato gli antichi; a condizione che sia capace di far valere la portata ontologica della responsabilità come principio, come ci ricorda il pensiero di Hans Jonas. D’altra parte, proprio la questione dell’universale in rapporto al particolare e cioè, più precisamente, quella che riguarda la possibile universalizzazione del principio ha portato l’etica della comunicazione espressa nel pensiero di Karl-Otto Apel ad individuare il fondamento razionale ultimo della moralità non tanto in una prospettiva ontologico-teleologica quanto invece nella non trascendibilità dell’orizzonte argomentativo. E tuttavia, un approccio all’agire comunicativo che si basi sulla procedura, un approccio “procedurale” dunque, non sembra dare sufficienti indicazioni dal punto di vista motivazionale che pure si accompagna all’ambito fondativo nella filosofica ricerca sul significato del “perché” dell’agire morale: ce lo ha recentemente fatto presente Adriano Fabris nel suo RelAzione. Una filosofia performativa (Brescia 2016), sottolineando gli aspetti dinamici della relazione e presentando una sua proposta di etica della relazione.

Possiamo inserire in questo quadro concettuale la nostra riflessione sul significato della presente crisi nell’ambito di un’etica della relazione.

La situazione che abbiamo vissuto recentemente, nel momento del lockdown a causa della pandemia, mi ha condotto a ripensare al rapporto tra universale e particolare alla luce di una considerazione che viene in effetti dal pensiero antico, in particolare dal pensiero di Socrate nella versione tramandataci da Senofonte, nella quale la comunità, la polis, è la comunità delle case, nel senso che c’è un legame tra la dimensione privata, quella del saper governare bene la propria casa e quella pubblica, quella del saper governare bene la città. Proprio nel momento più impegnativo, quello del lockdown, si è manifestata la possibilità di prendersi cura del bene comune appunto a partire dalla dimensione di vita della propria casa. Nel momento della vita in casa, motivata non solo dalla cura di sé, ma anche dal riconoscimento del diritto dell’altro e del bene comune, ci siamo sentiti legati più che mai alla comunità. Il Socrate di Senofonte ci avrebbe ricordato che è questo il frutto della “concordia”, della homonoia tra i cittadini. Direi che è questo un primo ambito relazionale nel quale la dimensione etica ha manifestato un legame con il luogo in cui viviamo, come ci ricorda il fatto che uno dei significati del termine ēthos è proprio quello di “dimora”. Ma ce n’è un altro. Qui mi riferisco al concetto di “relazioni virtuali” nel significato proposto da Adriano Fabris, quello che indica la «possibilità di nuove relazioni», come scrive nel suo volume che ho sopra citato. È evidente che nella fase del lockdown e tuttora il ruolo della tecnologia è stato ed è, dal punto di vista della possibilità relazionale, rilevantissimo; tuttavia, di nuovo mi preme sottolineare un aspetto etico che è emerso anche grazie alla mediazione della tecnologia. E anche qui l’ēthos ha a che fare con la casa. Durante le nostre videoconferenze siamo giunti, virtualmente, ognuno sulla soglia della casa dell’altro. Sullo schermo della relazione virtuale ognuno ha presentato non solo la propria immagine, ma ha anche scelto l’immagine della propria casa che voleva presentare all’altro. Potremmo dire che si tratta di dinamiche relazionali tipiche del riconoscimento, se volessimo impiegare il linguaggio di Hegel, all’interno dello Spirito oggettivo: in effetti anche le relazioni virtuali di oggi hanno consentito ad ognuno di chiedere di essere riconosciuto sia come soggetto sia come persona (impiego questi termini ancora nel senso loro assegnato dalla filosofia di Hegel), persona rappresentata dal proprio, in questo caso un’immagine della sua casa, che diventa tramite di riconoscimento.

Concludo: occorre trovare la via per uscire dalla crisi che è stata ed è tempo di difficoltà e particolare impegno; e per molti, purtroppo, anche di sofferenza e di dolore: ho cercato di dire quanto la solidarietà, la concordia, il riconoscimento reciproco siano importanti per il bene comune, per prenderci cura di noi stessi e della comunità, in quel tempo e in quello spazio che abitiamo come nostro ēthos, nostra dimora.



Giorgio Erle è Professore Associato di Filosofia morale presso il Dipartimento di Scienze Umane, Università degli Studi di Verona

 

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