Diario della crisi

È possibile trovare le parole per esprimere lo smarrimento che proviamo, in questa sospensione del tempo attraversata da vertiginosi cambiamenti? Per dare voce all'esperienza della separazione dai nostri prossimi, che pure ci accomuna a tutti gli abitanti del pianeta? Per restituire le domande che ci poniamo, immersi in una sfera cognitiva dissonante, con la sensazione che ci sveglieremo da questo incubo in un mondo trasformato e da trasformare? Proviamo a trovare insieme queste parole.

Luigi Caramiello - Il virus nella città globale. Scenario critico e velocità dei mutamenti

10 aprile 2020

L'onda di piena dell'epidemia, nel nostro Paese, pare stia in queste ore riducendo la sua portata, mentre dilaga crudelmente in altre parti dell'Europa e del mondo. Ma sebbene la discesa della curva sia cominciata, come dicono gli esperti, questo non ci mette al riparo dall'eventualità che l'infezione possa esplodere nelle zone dell'Italia che sono state solo sfiorate dall'epidemia. E non possiamo neppure  escludere che un allentamento delle rigide misure di distanziamento fisico fra le persone (“distanziamento sociale è un'espressione che proprio non mi piace) possa creare di nuovo focolai epidemici e il rischio di una ripartenza del fenomeno su ampia scala.

Quindi dobbiamo ancora rispettare, in modo scrupoloso, le regole di isolamento che impone la situazione. È una condizione anche psicologica assai spiacevole. Entri nel supermarket per fare la spesa e guardi la signora al banco dei formaggi con timore e sospetto: potrebbe essere la tua omicida inconsapevole, o tu il suo assassino. E con lei ti spaventano il farmacista, il benzinaio, il fruttivendolo, l'impiegato postale. È una condizione che mette a dura prova il sistema sociale, una comunità la quale, in ultima istanza ha ragione Giddens si tiene in piedi grazie alla fiducia. In un momento così difficile, così bisognoso di solidarietà, afflato emotivo, di cooperazione insomma, questa viene sostanzialmente delegata ai professionisti, ai tecnici, ai medici e agli infermieri eroici che rischiano la loro vita per salvarci, offrendo, in massimo grado, quella socialità che a tutti gli altri viene negata, proibita ex lege

Forse fra un po' dovremo anche portare un braccialetto, un anello, (o forse basterà una app sullo smartphone?) in grado di monitorare la condizione del nostro sistema immunitario ed avvertirci quando ci avviciniamo a un individuo o a un ambiente, dove si rileva la presenza di una carica infettiva rischiosa, una concentrazione virale pericolosa. Perché è chiaro che la minaccia viene dalla combinazione di questi due fattori (e parecchi altri). Dovremo sacrificare la nostra privacy? Lo faremo, senza esitazione. Chi ha letto Se questo è un uomo, oppure Una giornata di Ivan Denisovič sa di cosa siamo capaci, noi esseri umani, pur di restare in vita. Del resto, in barba a tutte le perplessità e insicurezze, gli italiani finora hanno rispettato le dure condizioni imposte, giustamente, dalle autorità, anche in un'area metropolitana difficile, per tante ragioni, come quella partenopea. 

L'era del Covid 19 ci ha regalato delle cartoline che difficilmente saranno dimenticate. Vedere il lungomare più bello del mondo liberato di ogni presenza, desolato, deserto, con il Vesuvio che osserva, con un misto di stupore e malinconia, è cosa che stringe il cuore. Ma seguire queste sequenze in TV, sincronicamente, insieme a quelle di New York, (sullo stesso 41° parallelo, a 7mila km) di Parigi, Madrid, Wuhan, Nuova Delhi, Milano, Cuzco, Santiago... non basterebbe un giornale a fare l'elenco delle città in lockdown in tutti i continenti , è una cosa che non è mai accaduta nella storia. E crea sorpresa e sgomento. 

Trentacinque anni fa, quando la parola “globalizzazione” non era neppure comparsa, in un mio libro (Il medium nucleare) riflettevo sul fatto che l'immagine del pianeta nella sua globalità, apparsa, grazie ai satelliti, sotto i nostri occhi sullo schermo della TV, poneva la specie umana in una condizione inedita. Nessun uomo, prima, aveva potuto fruire di quella prospettiva, era lo sguardo celeste che ora si offriva agli uomini, la visione divina costretta a secolarizzarsi, imponendoci di ripensare al senso stesso della metafisica. Incidentalmente, quegli stessi satelliti potevano (possono) ricevere il segnale del pulsante atomico che è in grado di decidere la fine della storia. 

Insomma, siamo veramente interconnessi, come mai era accaduto, e questo ci impone la consapevolezza di essere, come specie, accomunati da un unico destino. Apparentemente, lo scenario di questi giorni chiama in causa una minaccia che proviene dalla natura. E da qui tutto un diluviare di riflessioni sulla modernità e sulla tecnica che avrebbero superato ogni confine lecito, costringendo la natura a ribellarsi: pezzi di un maldestro copione già scritto, che aspetta solo occasioni per andare in scena. Perché, forse non è vero che il virus viene dai pipistrelli? Certo, ma vi sembra normale sgozzare animali selvatici, vivi, nel cuore di una immensa metropoli moderna, da cui partono centinaia di aerei al giorno per tutte le destinazioni del pianeta? Il salto di specie è raro, certo, ma chissà quante volte è avvenuto. Se accade in un villaggio rurale, sperduto fra le foreste, uccide i suoi abitanti e forse neppure lo veniamo a sapere. Se avviene in una megalopoli industriale, collegata con tutti i paesi del mondo, la pandemia è un esito naturale (ancor più se il regime tenta di nasconderla, favorendone nei fatti la diffusione). In altre parole, in discussione è, a vario titolo, il rapporto fra tradizione e modernità. 

Attenzione, la tutela della memoria, la salvaguardia delle radici, sono importanti ed essenziali, ma non possiamo illuderci di transitare nel nuovo mondo portandoci dietro tutto. Bisogna capire cosa possiamo conservare e cosa dobbiamo abbandonare. E Napoli, come i marinai di Una discesa nel Maelström di Edgar Allan Poe, è sempre dilaniata, a tutti i livelli, da questo dilemma. Prendete i nostri bassi: umidi, malsani, inabitabili, alcuni dei quali adibiti recentemente a residenze turistiche tanto, ma tanto pittoresche. Bene, (cioè male): oggi, in molti casi, sono ambienti sovraffollati, promiscui, con bambini costretti in pochi metri quadri, a una quarantena, (problema generale, certo), che è molto diversa se effettuata in un appartamento ampio, luminoso e ben areato, magari pure col giardino. Non ci vuole molto a immaginare che se la situazione non si risolve presto, in talune enclavi, che sopravvivono, peraltro, grazie a una certa economia “informale”, potrebbe insorgere qualche focolaio di seria turbolenza sociale. Insomma, anche in questo frangente, Napoli resta un laboratorio della complessità contemporanea. 

Ed anche in questo senso è di nuovo in discussione il tema del cambiamento e della sua velocità. Se i virus, che un tempo impiegavano anni, o secoli addirittura, per fare il giro del mondo, adesso ci mettono giorni, oppure semplicemente ore, è allora oggi necessario che il pensiero, i processi di comprensione del reale, corrano alla medesima velocità. Non possiamo permetterci discussioni bizantine, da vecchi legulei, mentre il nemico è alle porte (delle nostre case). Chi non capisce questo è fuori dalla dimensione della nuova epoca che ci attende, se ci salviamo. 

La connessione favorisce il virus, certo, favorisce i vigliacchi diffusori delle fake news, gli evirati cantori del ritorno alla naturalezza bucolica della vita e altre scemenze. Ma la connessione favorisce anche gli scienziati di tutto il mondo, che condividono le nuove conoscenze in rete, in tempo reale, e che riducono in maniera formidabile i tempi per la scoperta di un farmaco efficace o addirittura del vaccino in grado di salvare le nostre vite. Se l'umanità riuscirà a farcela, non lo dovremo alla retorica di inutili, insulsi parolai, ma al valore insostituibile della scienza e della tecnica. Può darsi che i tempi per l'individuazione di un rimedio saranno brevi, ma è anche possibile dover prevedere un intervallo cronologico più ampio. 

Il blocco non potrà comunque durare all'infinito, forse dovremo fare i conti con fasi di stop and go, non lo sappiamo. Come dice un motto fornito di una sottile ironia: la cosa più difficile da prevedere è il futuro. Sarcasmo a parte, il concetto l'avrebbe condiviso certamente anche Popper. Come che sia, dovremo ripartire e in qualche modo, per il tempo necessario, dovremo convivere con il pericolo. La nostra modernità, il nostro benessere, ci aveva abituati a operare una rimozione impossibile: dimenticare la concretezza perturbante e ineluttabile della morte. Ora la pandemia ci ha di nuovo avvicinati tutti alla realtà di questo fenomeno, ce lo ha reso di nuovo familiare, come è stato per le precedenti generazioni, funestate da malattie, guerre, carestie, miseria. Fasi storiche nelle quali un bambino su due non raggiungeva i sei anni. Certo, quelle epoche buie non torneranno. Dobbiamo rimetterci in piedi, dobbiamo auspicare la ripartenza, dobbiamo ripartire, e al più presto possibile, ma non è difficile capire che l'economia del paese, del pianeta intero, attraverseranno una fase assai difficile, che inciderà fortemente sul carattere della vita collettiva. Che mondo avremo davanti non possiamo saperlo, ma una cosa possiamo immaginare, con un discreto margine di approssimazione: ci aspettano tempi molto duri.    

 

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