Pinakes. Ritratti dall'archivio storico

 

 

Progetto: Fiorinda Li Vigni

Coordinamento:  Emilia Marra

Redazione: Giulia Adabessa, Elisa Bellato, Elenio Cicchini, Irene Dal Poz, Giulio Gisondi, Vincenzo Fatigati, Emilia Marra, Wolfgang Kaltenbacher

Social: Elia Mantovani

Supporto tecnico: Mario Beghini, Fabiana Castiglione, Francesca Vittoria

Reiner Schürmann

 

 

A cura di Elenio Cicchini

Reiner Schürmann (1941-1993) è stato uno degli interpreti più originali del pensiero di Heidegger.
Nato ad Amsterdam da genitori tedeschi, ha studiato filosofia a Monaco di Baviera e Friburgo in Brisgovia, e teologia presso il Centre d’études du Saulchoir a Étiolles, dove è stato ordinato al sacerdozio nel 1969. Ha conseguito il dottorato in filosofia a La Sorbonne nel 1981. 
Giunto nel 1971 negli Stati Uniti per insegnare a Washington presso la Catholic University of America e, successivamente, a Pittsburgh presso la Duquesne University, ha abbandonato l'ordine domenicano nel 1976, quando ha ottenuto una cattedra di filosofia presso la New School for Social Research di New York. 
Schürmann – il cui pensiero è ancora largamente inesplorato – ha svolto il versante politico del pensiero heideggeriano nella prospettiva della coincidenza di ontologia ed etica. A differenza di Hannah Arendt, Schürmann intende strappare la teoria dell’agire alla teleologia aristotelica e legarla saldamente alla storia dell’essere. Se il nocciolo della metafisica consiste nel rimandare sempre a una qualche archē, un’origine o principio che possa fondare l’agire, e che in ogni epoca assume una sua propria configurazione, si tratta allora di pensare la fine della metafisica come l’epoca della chiusura dei Principî dell’agire. Pensare, cioè, l’an-archia come l’unica prassi possibile al di qua o al di là della metafisica.
La storia dell’essere assume pertanto con Schürmann l’aspetto di una henologia, e il compito della fenomenologia radicale si profila come la neutralizzazione del “primo” cui, per ogni epoca storica, è stato di volta in volta ridotto il venire alla presenza dell’essere, di per sé molteplice, proteiforme ed errante. 
Schürmann è autore di numerosi saggi ancora inediti. Ha pubblicato Maître Eckhart et la joie errant (1972), Le Principe d’anarchie. Heidegger et la question de l’agir (1982), Des Hégémonies brisées (postumo, 1996). Il racconto biografico Les Origines è stato premiato nel 1977 dall’Académie Française col Prix Borquette-Gonin.

  

Sitografia 

Per la biografia e le opere principali
https://www.treccani.it/enciclopedia/reiner-schurmann 

Per i riferimenti bibliografici
Elenco dettagliato dei materiali (fra cui manoscritti e dattiloscritti) nel fondo istituito presso la New School for Social Research di New York:
https://findingaids.archives.newschool.edu

Pagina dell’editore Diaphanes (Zurigo) ai testi dell’autore
https://www.diaphanes.net/person/reiner-schuermann

Testi in memoria di R. Schürmann in collaborazione con il Philosophy Documentation Center:
“Graduate Faculty Philosophy Journal”, In Memoriam Reiner Schürmann, vol. 19-20, 1997

Video
Reiner Schürmann, Lecture for his Medieval Philosophy class in 1991 
Giorgio Agamben, The archeology of commandment, European Graduate School Video Lectures

 

Emmanuel Cattin, Reiner Schürmann contre Hegel: tragédie et réconciliation, attività di formazione “Il male e l’essere” (in collaborazione con l’Università degli Studi di Roma «La Sapienza» e l’Università degli Studi di Roma Tre Roma), Roma, 17 marzo 2008

Estratti da Le origini

R. Schürmann, Le origini, introduzione e cura di F. Guercio, traduzione di F. Scabbia, postfazione di G. Granel, Edizioni Efesto, Roma 2020

 

Testo di Gianni Vattimo

Tratto da: Gianni Vattimo, Prefazione a Alberto Martinengo, Introduzione a Reiner Schürmann, Meltemi editore, Roma 2008, pp- 7-9.

È vero che il pensiero di Reiner Schürmann, a cui è dedicato questo prezioso libro di Alberto Martinengo, è ancora relativamente poco studiato: se si esclude il lungo saggio dedicatogli nella traduzione italiana di Dai principi all’anarchia da un altro filosofo ugualmente originale, altrettanto difficile e schivo, come Gianni Carchia, la letteratura secondaria su di lui non ha ancora trovato il naturale coronamento di una monografia. Molto probabilmente, vale qui ciò che (troppo) spesso si dice di altri autori e testi filosofici: non sono loro che sono inattuali; bensì il loro tempo, la mentalità, la cultura dominante, non sono ancora maturi per essi.

[…]

La sua opera più compiuta e decisiva, lo studio su Heidegger di cui si diceva e il cui titolo era, nell’originale francese del 1982, Le principe d’anarchie, ha oggi un senso singolarmente anticipatore, se guardiamo all’intensificazione del securitarismo “fondamentalista” che si è nel frattempo (e dopo la morte dell’autore) imposto sul nostro mondo. Il problema di pensare senza fondamenti è diventato, da questione per i filosofi, tema decisivo per la nostra esistenza (e sopravvivenza) quotidiana. E naturalmente il legame con la situazione sociale e politica che oggi noi riconosciamo così esplicitamente non è affatto estraneo allo spirito con cui l’autore parlava, anni fa, di anarchia. Il venire in luce del principio di anarchia, anzitutto nel senso etimologico e filosofico del termine – la scomparsa dei fondamenti – e poi anche con un significato più concreto e generale, persino politico, non è mai stato concepito da Schürmann come la scoperta di una verità metafisica ma, in piena fedeltà all’ispirazione heideggeriana, come un evento storico-ontologico. Non siamo noi che scopriamo che i fondamenti non reggono teoricamente: è l’essere stesso che “si dà” nella forma della crisi di un sistema e nella faticosa, anarchica, transizione a un sistema (o meglio, forse, a un “non sistema”) diverso.

Si tocca qui uno dei punti più fecondi e determinanti dell’interpretazione di Heidegger che costituisce il nocciolo del pensiero di Schürmann, un autore che non è solo uno storico della filosofia ma anche e soprattutto un filosofo originale che prosegue la lezione heideggeriana. Come si vedrà nella lettura accurata che Martinengo dà all’opera schürmanniana, la differenza ontologica di Heidegger viene intesa da Schürmann come pensiero-evento (si ricordi lo scritto heideggeriano sull’umanismo: siamo su un piano in cui c’è anzitutto e principalmente l’essere) che sovverte la stessa nozione di “economia”, cioè il darsi delle epoche dell’essere come ordinamenti della totalità dell’ente secondo un determinato “principio”, un’archē a cui di volta in volta l’insieme degli enti si riporta, una “oikonomia” appunto, una legge della “casa” in cui abitano le varie umanità storiche. Il principio di anarchia è ovviamente, anche nella sua denominazione, qualcosa di contraddittorio, di radicalmente eversivo, e per questo merita completamente il proprio nome. Se c’è qualcosa come una “economia dell’essere” è proprio la negazione di ogni economia data una volta per tutte. Il tratto “epocale” che caratterizza l’essere secondo molte pagine di Heidegger (pensiamo soprattutto allo scritto su Anassimandro) non è solo il fatto che l’essere si dà in epoche, cioè in orizzonti storici e linguistici (il linguaggio come casa dell’essere) che si fissano secondo un ordine specifico e caratteristico. L’essere è soprattutto la sospensione della stabilità di questi ordinamenti, e il pensiero dell’essere (nel senso oggettivo e soggettivo che Heidegger ha di mira) è propriamente il pensiero anarchico, quello che “corrisponde” ai momenti di transizione tra le epoche in cui, anche, viene in luce la non definitività dei fondamenti, la storicità ormai “brisée” dell’egemonia che costituiva l’unità dell’epoca (per esempio, come paradigma di criteri di verità accettati, ecc.).

 

Testo di Giorgio Agamben

Tratto da: Giorgio Agamben, Che cos’è un comando? In Creazione e anarchia. L’opera nell’età della religione capitalista, Neri Pozza, Vicenza 2017, pp. 93-95.

Vorrei ora attirare la vostra attenzione su questo fatto certamente non casuale: nella nostra cultura, l’archē, l’origine, è sempre già anche il comando, l’inizio è sempre anche il principio che governa e comanda. È forse per un’ironica consapevolezza di questa coincidenza che il termine greco archos significa tanto il “comandante” che l’“ano”: lo spirito della lingua, cha ama scherzare, trasforma in un gioco di parole il teorema secondo cui l’origine deve essere anche “fondamento” e principio di governo. Il prestigio dell’origine nella nostra cultura deriva da questa omonimia strutturale: l’origine è ciò che comanda e governa non solo la nascita, ma anche la crescita, lo sviluppo, la circolazione e la trasmissione – in una parola: la storia – di ciò a cui ha dato origine. Che si tratti di un essere, di un’idea, di un sapere o di una prassi, in ogni caso l’inizio non è un semplice esordio, che poi scompare in ciò che segue; al contrario, l’origine non cessa mai di iniziare, cioè di comandare e governare ciò che ha posto in essere.

Questo è vero in teologia, dove Dio non solo ha creato il mondo, ma lo governa e non cessa di governarlo in una creazione continua, perché, se non lo facesse, esso andrebbe in rovina; ma è vero anche nella tradizione filosofica e nelle scienze umane, in cui esiste un nesso costitutivo fra l’origine di qualcosa e la sua storia, fra ciò che fonda e inizia e ciò che guida e governa.

Si pensi, in questo senso, alla funzione decisiva che il concetto di Anfang, “inizio”, ha nel pensiero di Heidegger. L’inizio non può qui mai diventare un passato, non cessa mai di essere presente, perché esso determina e comanda la storia dell’essere. Con una di quelle figure etimologiche che gli sono care, Heidegger riporta il termine tedesco che significa “storia” (Geschichte) al verbo schicken, che significa “inviare, mandare”, e al termine Geschick, che significa “destino”, suggerendo in questo modo che ciò che noi chiamiamo un’epoca storica è in realtà qualcosa che è stato mandato e inviato da un’archē, da un inizio che rimane nascosto e tuttavia operante in ciò che ha mandato e comandato (“comandare”, se possiamo anche noi scherzare con l’etimologia, viene da mandare, che in latino significa tanto “mandare” che “dare un ordine o un incarico”).

Archē nel senso di origine e archē nel senso di comando coincidono qui perfettamente, e questa intima connessione di inizio e comando definisce anzi la concezione heideggeriana della storia dell’essere.

Vorrei qui soltanto menzionare il fatto che il problema della connessione fra origine e comando ha prodotto nel pensiero postheideggeriano due interessanti svolgimenti. Il primo – che potremmo definire l’interpretazione anarchica di Heidegger – è il bel libro di Reiner Schürmann, Le principe d’anarchie (1982), che è un tentativo di separare origine e comando, per raggiungere qualcosa come una pura origine, un semplice “venire alla presenza” disgiunto da ogni comando. Il secondo – che non sarà illegittimo definire l’interpretazione democratica di Heidegger – è il tentativo simmetricamente opposto di Jacques Derrida di neutralizzare l’origine per raggiungere un puro imperativo, senz’altro contenuto che l’ingiunzione: interpreta!

 

Testo di Gianni Carchia

Gianni Carchia, Introduzione all’edizione italiana di Reiner Schürmann, Le principe d’anarchie. Heidegger et la question de l’agir; trad. it. e cura di G. Carchia, Dai principî all’anarchia. Essere e agire in Heidegger, Neri Pozza, Vicenza 2019 (1995), pp. 8-10.

Lo Schritt zurück, il passo indietro necessario alla decostruzione della metafisica, non è più solo quello capace di portarci dalla storia all’Ereignis. Con questa mossa esegetica, Schürmann si propone in primo luogo di mettere fuori gioco la miriade di letture restaurative che, facendo leva sulla decostruzione della storia epocale, hanno creato l’immagine di un Heidegger nostalgico delle origini, nemico della tecnica e della modernità. Schürmann mostra come la genealogia della metafisica, attuata come smantellamento dei principî epocali che reggono le differenti «economie» dell’essere, non conduca affatto alla proposta alternativa di un’altra storia «epocale», alla riscoperta «sacrale» dell’alba greca come modello del pensare e dell’agire. La decostruzione della metafisica non si risolve semplicemente nell’opzione di un’«altra» modalità della presenza storica. È quanto chiariscono magistralmente le pagine cruciali del libro, quelle dell’ottava sezione della Parte terza, dedicate alla ricognizione dei molteplici significati della nozione di origine in Heidegger. Ponendo ontologicamente la questione dell’origine, Schürmann, grazie allo sdoppiamento dei concetti di «originale» e di «originario», pone in luce, a partire soprattutto da una rilettura di Zur Sache des Denkens del 1969, la differenza essenziale in Heidegger tra presenza e venire alla presenza, tra storia e tempo, tra ontologia e topologia. Il senso profondo della decostruzione diventa, così, l’individuazione non più della differenza ontologica, bensì della differenza temporale. Da un lato, l’attraversamento a ritroso della storia della metafisica mette capo, volta a volta, alle archai che reggono le sue diverse epoche, scoprendo quell’Anfang, quel cominciamento che dà origine, nelle economie, alle diverse serie causali. Dall’altro, il senso ultimo dell’impresa heideggeriana non è questa decostruzione dell’archē, il ritrovamento dell’Anfang o del Beginn, l’esordio di un’economia. Ciò che emerge qui, attraverso i diversi rovesciamenti della storia dell’essere, non è che la dimensione originale, storica, dell’essere. Solo con la Kehre realizzata dalla tecnica, solo col compimento della storia della metafisica, che mette allo scoperto i presupposti umanistici e soggettivi dell’intera successione delle economie epocali, diviene possibile vedere, a fianco dell’archē, a fianco dell’originale, il momento an-archico dell’essere, l’origine originaria: non più l’ousia, l’enticità, il modo d’essere degli enti, bensì la parousia, il venire alla presenza, l’essere come lasciar essere, l’essere non più come storia, ma come temporalità pura, fragile, precaria. Di fronte all’originale della storia epocale svelato dalla decostruzione, sta l’originario del pensiero dell’Ereignis, l’evento senza storia e senza destino.

In sostanza, è questo sdoppiarsi dell’origine, da una parte, in origine storico-principiale, fondata sul principio di causa, dall’altra in origine anarchica, rimessa ad una spontaneità, ad una «naturalità» che si può intendere facendo riferimento all’accezione arcaica, presocratica, della phusis, ciò che consente a Schürmann di offrire la sua versione fortemente innovativa del cammino heideggeriano.

[…]

Dall’individuazione della natura anarchica, polimorfa e proteiforme dell’essere come nascita, discende coerentemente una caratterizzazione del bene come innocenza naturale, l’attribuzione a Heidegger di una morale, per parafrasare Guyau, «senza obbligo né sanzione», che si confonde con la stessa vita dell’essere liberato dai principî. Di nuovo, secondo Schürmann, in Heidegger la decostruzione aletheiologica delle differenti prassi storiche non mira alla proposta di un «altro» programma storico dell’agire, bensì vuole precisamente liberare ogni agire dalle intenzioni e dalle finalità storiche. L’uscita dal circolo epocale formato dalla causalità e dalla teleocrazia, nello stesso istante in cui oltrepassa la metafisica smettendo il giudicare in base ai principî e rimettendosi all’abbandono del pensare, affranca l’azione dal dominio antropomorfico degli scopi. Schürmann ritrova così in Heidegger, alla luce ancora una volta delle sue mirabili analisi della phusis arcaica, l’idea di una spontaneità dell’agire che si riconnette alla mistica renana, al «vivere senza perché» di Eckhart nonché all’idea nietzscheana di un’«innocenza del divenire». Nell’ambito di questo naturalismo mistico, volto a recidere le radici stesse della violenza dell’agire, si potrebbe anche rammentare Tolstoj: «Se il bene ha una causa, non è più bene; se ha un effetto, la ricompensa, pure non è bene».

Sulle opere complete di Schürmann in pubblicazione presso Diaphanes

Tobias Keiling, Heidegger nach links gekehrt. Zur Werksausgabe des Philosophen R. Schürmann, trad. it. di F. Guercio, Heidegger rivoltato a sinistra. Sull’edizione delle opere del filosofo R. Schürmann.